Fino al prossimo 27 febbraio Palazzo Barberini ospita la mostra fotografica dedicata a Giuseppe Loy, “Una certa Italia Fotografie 1959-1981” prima retrospettiva in Italia a quarant’anni dalla sua scomparsa, a cura di Chiara Agradi e Angelo Loy.
135 foto in bianco e nero che hanno invaso gli ambienti della Sala delle Colonne e nelle Cucine Novecentesche di Palazzo Barberini, insieme a documenti d’archivio, poesie, epigrammi, scatti familiari e un video che ripercorre l’amicizia tra Giuseppe Loy e gli artisti Alberto Burri, Afro e Lucio Fontana.
Un lavoro certosino che è stato possibile grazie alla collaborazione tra l’archivio fotografico Giuseppe Loy, la Media Partnership di Rai Scuola, a seguito della digitalizzazione e della sistematizzazione di 1565 rullini in bianco e nero, 338 rullini a colori, 1800 stampe e documenti.
Un vero e proprio excursus in immagini della professione di Giuseppe Loy, che ha dedicato la sua vita alla macchina fotografica.
Foto che ritraggono uno spaccato della società italiana tra gli anni ’50 e gli anni ’80, nel suo quotidiano, sublimi gli scatti letteralmente rubati sulle spiagge, fino ad arrivare a quelle in cui ritrae gli amici di sempre, gli artisti di fama Alberto Burri, Afro e Lucio Fontana. Una parte è dedicata anche agli scatti di famiglia, agli interni, ai ritratti di una famiglia di intellettuali lontana dai fasti della celebrità, riservata, molto toccanti.
Abbiamo avuto il piacere di dialogare con Angelo Loy, figlio del fotografo e co-curatore della mostra.
Ci racconta questa mostra, dove non sono esposte solo fotografie, ci racconta Angelo Loy e la sua ricerca fotografica.
“E’ vero non ci sono solo fotografie, ma anche epigrammi, poesie e una parte del libro di fotografie per Laterza che si sarebbe dovuto chiamare “Una certa Italia” e che non è mai stato pubblicato.
C’è anche una raccolta di epigrammi, molto ironici, mentre per quanto riguarda le poesie sono molto più intimiste e abbastanza tormentate.
Gli epigrammi, per esempio, si accompagnano benissimo con le fotografie. Nella fotografia di Giuseppe Loy c’è sicuramente un gusto per la composizione, c’è uno sforzo di raccontare il sociale, anche quello ai margini della società, ma c’è, soprattutto, una ricerca quasi ironica nei singoli scatti.
Questo allestimento è stato fatto a sezioni, da me e da Chiara Agradi, in funzione degli appunti di Giuseppe Loy, con i quali stava lavorando al suo libro, nel quale c’era una sezione, dedicata all’Italia che stava attraversando il boom economico fino agli anni ’80.
Gli scatti in mostra sono tutte foto originali stampate sotto sua indicazione, lui aveva anche l’abitudine di lavorare sul foglio di contatto, ovvero dava indicazione anche su come ritagliare la fotografia, non stampava il negativo così com’era. Come si può notare le foto sono tutte fuori formato standard, tranne alcune serie.
Una tipo di fotografia sociale, che va a soffermarsi sempre sul rapporto tra soggetto ed autore, con una grande ironia nella composizione. In ambito più tradizione, quasi antropologico, invece, abbiamo una fotografia che tende verso agli anni ’80, più cupa, con passepartout neri, e poi c’è la grande parentesi del mare, il suo legame, con la Sardegna, ma non solo, anche con Santa Marinella e il litorale pontino e la Calabria.
Loy si interessa moltissimo al rapporto tra il bagnante italiano e il mare, infatti questa sezione si sarebbe dovuto chiamare “Il mare degli italiani” dove ci sono elementi di spiaggia minima, personaggi che si trovano spiaggiati, quasi scatti rubati, oppure degli scatti più compositivi, sempre alla ricerca della foto perfetta.
Questo rapporto con il mare, con l’elemento umano al centro, non è una foto di paesaggio, ma una foto che ci racconta una certa Italia al mare. Già nelle foto del Poetto, a Cagliari, questi elementi compositivi e questa scelta dell’inquadratura variano, si va verso l’informale che sfocia poi nelle foto della neve, dove ci si avvia verso un altro tipo di sperimentazione, anche se io non sono un esperto di fotografia. Anche nelle foto della neve c’è l’elemento umano, ma si va verso composizioni astratte, più geometriche.
Poi c’è una sezione che parte dall’intimità della famiglia, le foto a cui noi tutti siamo sempre stati abituati, foto che in casa erano moltissime. Io avevo quasi pudore a farle vedere fino a quando è arrivata Chiara. Pensavo che potessero non essere di interesse, c’è mia sorella Anna, Benedetta, io non ci sono mai, in nessuno scatto.
Poi si passa alle foto del mercato di Fondi, alle foto di Nanni Loy, alle foto del set del film “Le quattro giornate di Napoli”. Io pensavo che avesse fatto delle foto di scena ma invece le foto sono tutt’altro, il set è sullo sfondo, Giuseppe Loy era sempre più interessato a ciò che accadeva intorno, alle persone, alla vita, in una Gaeta ancora distrutta dalla guerra.”
Mostra emozionante di uno fotografo che non finirà mai di stupire e di essere apprezzato per il suo patrimonio fotografico di livello eccezionale.
Articolo di Stefania Vaghi
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