Fino al prossimo 20 marzo, rigorosamente su appuntamento, Casa Vuota, l’eclettico spazio espositivo al Quadraro, ospita la prima personale romana del giovane Dario Nanì “Altri fiori per camera tua”, a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo.
L’artista siciliano di nascita ma bolognese d’adozione, classe 1993, ci presenta le sue opere che riportano a ricordi vividi, di persone, di cose, di sensazioni, come i fiori poggiati in terra dentro un vaso di vetro trasparente, in un angolo, che sono il leitmotiv della mostra.
Un mazzo di fiori che rievoca tempi e amori passati, tenuti come reliquia o monito, di una precedente relazione, da una persona dallo stesso artista amata.
Le opere di Dario Nanì si sposano perfettamente con lo spazio espositivo, creando una simbiosi a dir poco perfetta, un dialogo che partendo dalle pareti, dalle carte da parati usurate, come la vita che ci si è trascorsa, arriva fin sopra ai pavimenti, dove campeggia un suo autoritratto lieve, quasi etereo “Per quello che ricordo”, un olio su tela in mille sfumature di cremisi.
Le opere invadono completamente lo spazio, in un allestimento studiato al millimetro, tanto da sembrare casuale, quasi “poggiate” in attesa di essere traslocate, perché questo è il senso di tutta l’esposizione.
Le opere riportano ai ricordi, attraverso un tratto a volte lieve a volte più marcato e potente, nei volti, nei molti nudi,, intimi e carnali, nelle sovrapposizioni pittoriche che caratterizzano i paesaggi, in un gioco di verdi, di blu e di colori pastello, così come i collage con materiali inusuali, parti di riviste, post-it.
Ricordi di serate estive, di mare, di una notte, di amori mordi e fuggi o di sentimenti più profondi, tutto il vissuto dell’autore in un viaggio temporale nella memoria, che lo stesso ha voluto riportare su tela, su carta, memorie impresse nella sua mente e nel suo cuore, quasi a volerne esorcizzare la possibilità di perderle offuscate dall’oblio del tempo che passa.
Due sono le opere che mi hanno letteralmente rapito, un ritratto ad olio su tela “Gabriele, dal giardino vicino casa” e un micro mazzo di fiori, dove le stratificazioni via via effettuate dall’artista lo hanno trasformato in qualcosa di astratto, etereo, dove i fiori sembrano essere solo un lontano ricordo, di un tempo ormai andato e sfumato.
Ho voluto fare alcune domande all’artista che non conoscevo personalmente.
Dario Nanì questa è la tua prima personale a Roma, come mai la scelta della Capitale, tu che sei siciliano di nascita e bolognese d’adozione?
Tutto è nato da un progetto con Francesco con Paolo del Re che si è sposato bene con Casa Vuota. L’idea di avere delle opere che fossero legate a sentimenti e sentimentalismi e che riprendessero anche il disegno dei fiori della carta da parati, con un’idea di casa usurata, vissuta, così come le opere che si trascinano, come parti di un trascorso personale.
Tutte le opere fanno parte di un tuo vissuto e vogliono raccontare una parte della tua vita, così come il mazzo di fiori da cui si parte. Ci spieghi questa scelta?
Frequentavo una persona che aveva questo mazzo di fiori del precedente compagno tranquillamente poggiato su un mobile. Io non riuscivo a guardare quei fiori, gli dicevo sempre “toglili, basta”, lui invece li teneva. Quando poi la relazione è finita, il fatto comunque di dipingere dei fiori, legarmi a quell’immagine, mi ha aiutato a metabolizzare ed esorcizzare quei fiori. Il disegnarli è stato per me “terapeutico”, è servito a distaccarmi mentalmente da quella persona.
Che tipo di rapporto hai con i ricordi, visto quello che rappresenti nelle tue opere?
Inizialmente sofferente, però nel momento stesso che realizzo un’opera chiudo tutto li dentro, una specie di scommessa che faccio con me stesso. Dario realizza questo pezzo e lì dentro lasci quella storia, la lasci e vai avanti.
Che tecniche usi normalmente?
Utilizzo olio su tela e su carta, i piccoli oli hanno delle incursioni a pastello e matita di vecchia scuola.
L’opera che in questa esposizione ti rappresenta di più o che ha un significato particolare per te?
Forse è l’opera che troviamo nell’altra stanza che è un piccolo mazzo di fiori che sono andato a stratificare più volte, tanto da diventare un informale, come se ci fossero più passaggi, più ricordi che vanno ad agglomerarsi in un formato 9x10.
Mi occupo di arte e di bellezza, l’idea è quella di trasformare un momento buio, complesso, articolato, in qualcosa di positivo, un po' come trasformare il veleno in miele, per una questione di sensibilità personale.
Come hai vissuto come artista il periodo della pandemia?
Penso sia stato la mia grande fortuna la pandemia, ahimè, perché mi ha dato la possibilità di lasciare il mio primo lavoro, da restauratore, di chiudermi dentro la mia camera e lavorare finalmente, dipingere. Da una grande tragedia è scaturito un momento personale, intimo con il mio lavoro.”
La mostra sarà visitabile fino al prossimo 20 marzo, su appuntamento al numero di telefono 3928918793 oppure all’email vuotacasa@gmail.com.
Articolo di Stefania Vaghi
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