All’interno del maestoso complesso del Museo dell’Arte Classica all’interno del polo museale de La Sapienza a Roma, ha avuto luogo la performance audiovisiva di Mathew Emmett “St Sebastian: Plague Memory”.
L’artista ed architetto inglese ha creato una vera e propria videoinstallazione site-specific in simbiosi perfetta con le sculture classiche ospitate nel museo che fanno da cornice alla prima mostra antologica dedicata a Bruno Lisi che si è inaugurata lo scorso 12 gennaio.
St Sebastian: Plague Memory è inserita tra gli eventi paralleli creati dalla curatrice Camilla Boemio nella sezione “Il Mondo Nuovo: The Contemplative Edge”, e vuole essere un momento di profonda riflessione sulla ricerca umana di rifugio e protezione di fronte alla paura e alla violazione, così attuale in questo momento storico travagliato e segnato profondamente prima dalla pandemia e ora dalla guerra.
La videoinstallazione è totalmente immersiva, lo spettatore viene avvolto ed immerso nei suoni, generati dai dati, mentre sulle sculture greche e romane in gesso Emmett proietta la sua personale visione artistica del martirio di San Sebastiano, tanto caro agli artisti rinascimentali. Una performance che spazia dalla trasposizione dei tessuti del corpo umano fino alla sublimazione spirituale dello stesso, in uno stato di rigenerazione, dove San Sebastiano rappresenta l'archetipo della mortalità e della protezione.
Abbiamo voluto fare qualche domanda proprio a Camilla Boemio, per riuscire a meglio interpretare la performance di Mathew Emmett.
Come nasce e qual’è il significato profondo di St Sebastian: Plague Memory?
Quello che volevo in qualche modo andare a creare era una narrazione, un racconto parallelo alla mostra di Bruno Lisi, una forma di “dibattito”, una discussione con l’esposizione. Matthew Emmett è un architetto, un artista britannico di grande fascino, perché la sua architettura è in contrasto con l’architettura vernacolare. E’ un’architettura psico-analitica, le sue esperienze con gli ospedali quando era molto giovane, lavorando come architetto nei nosocomi, gli hanno fatto capire quanto le persone siano fondamentali nelle costruzioni. Siamo troppo abituati alle grandi archistar che pensano solamente ad edifici intelligenti, incredibili, spettacolari, ma sovrastati da un machismo. Dobbiamo ritornare indietro in questa fase, dobbiamo scardinare quelle regole che hanno occluso il pensiero. Questa sezione parallela “Il mondo nuovo” vuole andare ad aprire un dibattito, ed Emmett lo fa andando a riprendere la figura di San Sebastiano, figura incredibile nella storia dell’arte, parlando di martirio, ma il martirio che porta alla guarigione. La guarigione dell’uomo con tre capisaldi che regolano la sua pratica che sono l’ibrido di scienza cognitiva, la semiotica e la pratica spaziale; una pratica artistica ma anche una pratica di architettura che vede questa installazione multi-canale, con un suono e un audio.
Per cui anche nella videoproiezione vengono riproposti i tre capisaldi?
Certamente, pensati ed armonizzati appositamente per il Museo dell’Arte Classica de La Sapienza. Per cui non è un’opera “parassita” completamente estraniata dalla collezione ma è un dialogo continuo e continuativo con la collezione che vuole andare a riprendere il passato, la storia così importante, quella dei calchi greci e romani proiettandoli in uno scenario futuro. Assolutamente site-specific pensata per questa galleria, pensata con questa tridimensionalità, avendo Matthew Emmett visitato preventivamente il Museo”.
La mostra, che segna anche la collaborazione scientifica tra due dipartimenti dell’Università di Roma Sapienza — il Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo e il Dipartimento di Studi Europei Americani e Interculturali — sarà accompagnata da un catalogo che presenta la ricerca artistica di Bruno Lisi attraverso i testi di Camilla Boemio, Patrizia Ferri, Francesca Gallo, Francesco Moschini, Marcello Venturoli, Marisa Volpi.
Articolo di Stefania Vaghi
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