Fuori Pieno A Casa Vuota

Fuori Pieno A Casa Vuota

La mostra personale di Alessandro Passaro nello spazio espositivo domestico del Quadraro a Roma

stampa articolo Scarica pdf

Fino al 28 maggio Casa Vuota ospita la personale di Alessandro Passaro “Fuori Pieno”, a cura di Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo, sembra quasi un gioco di parole creato appositamente ma non lo è…

L’artista trasforma attraverso le sue tele i vuoti in pieni. Un allestimento pensato appositamente per lo spazio che vede protagonisti gli animali (scimpanzé, rinoceronti e animali esotici) in visioni surreali e metalinguistiche ambientate nelle stanze di un appartamento che mostra sé stesso e le fantasie che può contenere, innescando una catena infinita di aperture, citazioni e rimandi.

Otto grandi dipinti a olio su tela, senza telaio, realizzati nel 2023, che vogliono farsi osservare non come opere in sé, ma come elementi di una grande installazione che abbraccia tutta la casa. Nelle intenzioni dell’artista, sono metafore semplici di che cos’è un quadro, ovvero uno squarcio che si affaccia in un’altra dimensione. 

Come dichiarano i curatori Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo “È un grande omaggio al dipingere come atto creativo e liberatorio, quello di Passaro, nel quale gli animali, estrapolati dallo scenario naturale che gli è proprio e ricontestualizzati nello spazio domestico, si offrono come simulacri e mettono in luce le incongruenze della società contemporanea”.

Abbiamo voluto fare qualche domanda all’artista per meglio comprendere la sua personale.

Alessandro Passaro come nasce il titolo Fuori Pieno?

Fuori pieno a Casa vuota è un modo di smussare la mia autorialità e tutte le idee che potevano venirmi in merito al titolo, è un modo di vedere ciò che c’è. Qui c’era Casa Vuota mi è venuto naturale chiamarla Fuori Pieno. Quando sono entrato qui sono partito dalla stessa cosa, da quello che c’è. Quello che c’era era il mio limite emotivo, quel mio presente. Avevo necessità di abbattere queste pareti e di dare “respiro” a questo posto, quindi ho progettato dei quadri “buco”, dove già il quadro per antonomasia è un tuffo in un’altra dimensione, ma in questo caso con l’accenno alla struttura che simula il muro tagliato, alcuni che si affacciano nella mente dell’autore, altri nell’assenza dell’autore e altri nell’altra stanza.

Quindi semplice e conciso.

Qual è il segno distintivo del tuo lavoro, la tua caratteristica?

In questa esposizione ho portato avanti gli ingredienti che caratterizzano il mio lavoro, che vanno da questa autorialità dosata che io cerco, ma vanno anche ad un balletto fra rappresentazione e presentazione. Sembra una pittura che va come un respiro, una pittura che si stringe e rappresenta e una pittura che si apre e si presenta.

Io normalmente sono stato molto più radicale, informale nella maniera in cui mi presentavo, però vedevo che le persone confondevano l’informale con l’inquietudine d’animo, che non c’entra nulla. Invece, in realtà, dosando la questione mi sono accorto che è più fruibile.

In questa esposizione ci sono dei lavori che ho fatto realizzare anche a mia figlia, che ha 4 anni, in uno tira la maglia al nonno per sollecitargli una visione. In quest’atto rappresentativo si giunge in una dimensione di presentazione, perché è come se mostrasse il vuoto sotto la pittura, una pittura che si presenta.

In questa esposizione a Casa Vuota qual è l’opera che ti rappresenta maggiormente?

Non l’ho ancora fatta… La tua domanda mi piace, però sono costretto a dirti la verità. Questa è una mostra in cui io su ogni lavoro sento di essere giunto ad una linea che mi gratifica pienamente, anche nel “Selfie al buio” ed è un gioco con il quadro di fronte (“Essere una mano”), questo è l’animale che è in noi, seduto nell’appartamento mentale che rappresentiamo, illuminato e tu la vedi questa cosa, nell’altro l’assenza di luce è come una radicalizzazione di patologia, non c’è più la capacità di vedere l’animale, che è quel pluralismo che ci garantisce la funzionalità tecnologica di chi siamo e di come dovremmo esistere, ma c’è una limitazione di luce per cui una patologia dell’uomo che si fà i selfie al buio, pensa tu che patologia profonda.

Ma se dovessi scegliere tra quelli esposti?

Per alcune cose, per il discorso dell’autorialità mi rappresenta più quello dove ha lavorato anche mia figlia: io le faccio fare il lavoro e poi dipingo esattamente quello che avevo intenzione di dipingere è una cosa antistress proprio. Ed è bellissimo, è come se tu fossi guidato, non devi comprimere le meningi per produrre nulla.

Che tecnica utilizzi per le opere e come mai la scelta di non avere cornici?

Olio su tela, non intelate, tranne quelli con gli interventi di mia figlia che si possono definire a tecnica mista, dove c’è l’acquerello. La scelta di non intelaiarli è funzionale alla percezione illusiva del buco, se ci fosse un telaio che mi dà spessore all’infuori sarebbe difficile convincerti che va oltre la parete. Io ho grossi problemi a gestire le tele non intelaiate, dovrei progettare di lasciare uno spazio apposito, ma non ce la faccio mai, saranno vent’anni che faccio così.

E’ stato un bel balletto di limiti perché poi con questo stratagemma del nastro carta che gioca un balletto cromatico con la carta da parati da più credibilità a questa cosa, diciamo che l’assenza di telaio è funzionale anche a questo.”

Una mostra assolutamente da non perdere per lo studio e la genialità delle opere proposte, anche grazie all’attenta selezione dei curatori Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo.

Stefania Vaghi

© Riproduzione riservata