Si definisce un viaggiatore incallito che ama raccontare storie. La sua vita artistica è divisa tra il Teatro e la Musica, ha raccontato di portare sempre con sé un taccuino sul quale annota emozioni, incontri ed esperienze che trovano poi spazio nella sua arte. Ad accompagnarlo, c’è sempre anche una chitarra, pronta a regalargli una colonna sonora per ogni racconto.
Il suo percorso artistico inizia nel 2015 con il Teatro, con lo spettacolo Nonsense a nord del Tamigi (spettacolo vincitore del Festival Stazioni d’Emergenza del Teatro d’Innovazione e finalista del Festival CrashTest – Collisioni di Teatro Contemporaneo), e da lì un lungo susseguirsi di spettacoli come Malammò o della Madonna puttana, La Parabola della rete, Rock City Nights, My Wild Love, Dead Man Working e Break on Thorough, nella mente di Jim Morrison.
Nel 2017 inizia a dedicarsi parallelamente anche alla musica pubblicando l’ep Down the river e partecipando con buoni risultati a diversi contest e Festival come il Farcisentire Festival, Nano Festival, Sanremo Rock, Newroz Festival.
È con molto piacere che Unfolding Roma ospita Valerio Bruner.
Valerio, lo scorso 17 aprile è uscito La Belle Dame, il titolo è un omaggio ad una poesia di John Keats “La Belle Dame sans Merci”. Cinque canzoni che omaggiano la figura femminile, ognuna di esse è una storia. Ce ne racconti la genesi?
Queste cinque canzoni sono il mio umile, ma sentito contributo ad una causa verso la quale sono sempre stato sensibile e cioè le lotte quotidiane che le donne combattono per affermare la propria individualità e, soprattutto, la propria indipendenza, in una società tuttora fortemente maschilista. Il titolo dell’album è sì un omaggio a Keats, come sottolinei giustamente, ma soprattutto ad un tipo di personaggio in poesia, quello di una donna impavida e ribelle, che è appunto “la bella dama senza pietà” che abita i versi di Keats.
In cosa si differenzia e quali sono i punti di incontro rispetto al precedente ep Down the river?
Il fulcro di Down the River era la sua essenzialità, la sua scarna immediatezza, espressa attraverso una registrazione in presa diretta e in quelle imperfezioni che immortalavano il momento in cui è stato registrato. La Belle Dame ha una gestazione più consapevole, una ricerca più accurata ed un’espressione più ampia e potente delle sue sonorità. Il punto di incontro tra i due album resta però quell’urgenza, quella necessità di provare a dare forma e corpo alla propria interiorità.
Pubblicare un album durante un lockdown, follia o coraggio? Senti di essere stato “danneggiato” da questo stop inaspettato o stai riuscendo a portare avanti ciò che avevi calendarizzato?
Il lockdown è stato un duro colpo per tutti. Ci ho pensato molto e sono arrivato alla conclusione di aver fatto la scelta giusta. Credo che la musica possa davvero essere di supporto in questo momento così delicato e tristemente unico nel suo genere. Spero che la mia musica possa dare il proprio contributo alla causa e tenere compagnia, magari far sorridere ed emozionare chi l’ascolta, anche solo per un momento effimero e passeggero della sua giornata. In fondo viviamo di attimi, piccoli istanti di quiete nella tempesta, come stiamo imparando da questo momento storico. Quindi non penso a come sarebbe stato far uscire l’album in una situazione di normalità, ma penso all’album che è uscito adesso, proprio in questo momento.
In questo stop forzato siamo stati letteralmente invasi da ogni forma di streaming. In tal senso tu hai scelto di prestare la tua musica per dare un sostegno concreto a chi è impegnato in questa emergenza...
Sì, ho deciso di mettere la mia musica a servizio e supporto di associazioni e volontari che combattono in prima linea l’emergenza Covid-19. Ad aprile ho tenuto un piccolo concerto da casa per raccogliere fondi per Emergency, mentre sulla mia pagina Spotify ho attivato un portale a cui sarà possibile accedere per dare il proprio supporto alla Croce Rossa Italiana. Mi sto attivando anche per destinare una parte del ricavato della vendita del disco a favore di un’associazione che si occupa di violenza sulle donne. Penso che la musica, adesso, debba scendere dal suo Olimpo, rimboccarsi le maniche e affondare le mani nella terra.
Nel tuo passato c’è tanto teatro, immagino sia stato il tuo primo amore e che la musica sia arrivata in un secondo momento. Quindi da un lato la “rigidità” dei ritmi teatrali, dall’altro l’estro creativo della musica: come si colloca Valerio Bruner in tale contesto?
Il teatro ti insegna la disciplina, ti insegna come e cosa vuol dire “stare”, “esistere” sul palco. Ti insegna a creare quella giusta tensione che deve poi esplodere in scena al momento debito. Questo è stato un grande insegnamento quando ho iniziato il mio percorso musicale e lo è tuttora quando devo preparare un concerto o affrontare delle sessioni di registrazione.
Hai dichiarato in un’intervista di preferire la lingua inglese per le tua canzoni. È solo una scelta stilistica o un provare ad aprirsi le porte oltre confine?
È una scelta emozionale. I miei ascolti, le canzoni e gli artisti che mi hanno ispirato e spronato a intraprendere questo percorso vengono tutti dalla scena punk rock britannica e rock americana. Scrivere in inglese non è stata una scelta a tavolino, le parole e la musica sono fluite naturalmente dagli ululati dei Clash e dalla chitarra di Bruce Springsteen.
Curiosità. Ho letto che una tua cover Racing in the Street di Bruce Springsteen, è stata trasmessa dall'emittente radiofonica Asbury Music, in occasione del 69° compleanno del Boss. È stato frutto di una casualità o di un lungo lavoro?
Lessi su Facebook che la radio cercava delle cover di Springsteen e che ne avrebbe selezionato alcune da mandare in onda il giorno del compleanno dell’artista, il 23 settembre. Quando lessi l’articolo stavo provando alcune canzoni nel mio “covo di tufo”, così presi il cellulare e registrai una take voce, chitarra e armonica di Racing in the Street, la mia canzone preferita di Bruce. Non avevo né microfoni né amplificatori ma il covo offriva un meraviglioso riverbero naturale che modellò la veste dell’interpretazione. Salvato il brano lo mandai alla radio e me ne dimenticai, convinto che una radio americana del New Jersey non avrebbe mai scelto la cover di un musicista napoletano che aveva registrato una delle canzoni più belle che Springsteen abbia mai scritto in una grotta di Via Foria. E invece, qualche settimana dopo mi trovavo a Narni per un concerto e, tornando la sera in albergo mi arrivò la mail in cui mi dicevano che la canzone era piaciuta e che l’avrebbero mandata in onda il giorno dopo, quello del compleanno di Bruce. È una bella storia da raccontare.
In queste settimane si susseguono proposte più o meno discutibili relative il teatro ed i concerti: parliamo di una sorta di Netflix per il primo e di un drive in per i secondi. Tu che vivi ambo le realtà cosa ne pensi?
È difficile, perché l’arte, in questo caso parliamo di musica e teatro, deve essere qualcosa di fluido, qualcosa che si adatti e che sopravviva ai tempi storici. Allo stesso tempo penso però che privare queste due forme d’arte della propria componente fisica e viscerale, musica e teatro si fanno per e a contatto diretto con il pubblico, possa essere una stilettata letale. Eppure è nella capacità di adattamento che risiede la nostra sopravvivenza. Per ora penso che dobbiamo vivere i giorni che abbiamo davanti e prendere posizione quando sarà il momento.
Sara Grillo
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