In redazione sono venuti a trovarci due straordinari attori che in questi giorni stanno portando in scena il loro ultimo lavoro teatrale Desaparecidos#43: Nicola Pianzolla e Anna Dora.
Avete entrambi studiato a Bologna; è stata la passione per il teatro che ha fatto incrociare le vostre strade?
Nicola: Io e Anna Dora ci siamo conosciuti all’interno di un laboratorio teatrale universitario diretto da Arnaldo Picchi, per cui il teatro è stato sicuramente l’elemento che fatto scattare i nostri primi incontri e discussioni. Ricordo che Anna Dora mi parlava di un suo progetto di creare uno spettacolo a partire da un testo che l’aveva colpita molto, “Lulu” di Wedekind. In quel momento, non avrei mai immaginato che un giorno, quel progetto, sarebbe diventato il nostro primo spettacolo, “Avan-Lulu”, che avremmo debuttato in Polonia, vincendo il premio della giuria e che quell’esperienza avrebbe segnato per sempre il nostro carattere internazionale e itinerante, siglato dal nome scelto per il nostro gruppo: Instabili Vaganti. Un tocco di sano gossip? Prima del teatro è stato l’amore ad unirci, siamo diventati una coppia nel 2001 ed abbiamo ufficialmente fondato la compagnia nel 2004.
Anna Dora: Sicuramente si. Ci siamo incontrati al corso di regia e teatro del Prof. Arnaldo Picchi al DAMS di Bologna. Un laboratorio pratico in cui è nato il nostro primo interesse per la ricerca teatrale e forse il mio primo desiderio di fare la regista.
L'idea di creare una compagnia teatrale, nasce da una visione comune o e' stato il frutto del desiderio di uno di voi due?
Nicola: Anna Dora sentiva la necessità di portare Avanti un suo lavoro, una sua ricerca, mentre io spingevo più per lavorare come attore free lance e passare da un esperienza all’altra. Sentivo la necessità di nutrirmi di approcci e sperimentazioni differenti, spaziando dal nouveau cirque al teatro fisico. Ammetto di aver fatto un po’ di resistenza, di essere stato molto scettico all’inizio. Vedevo i nostri colleghi affidarsi a compagni e già consolidate, mentre noi iniziavamo a fare tutto da soli; dalla ricerca di uno spazio dove provare, al lavoro di scouting di opportunità e contesti in cui proporre il nostro lavoro, all’investire nella produzione di uno spettacolo, economie generate dall’insegnamento di circo e teatro ai bambini e a gli adulti, attraverso una serie innumerevole di laboratori da noi organizzati. Tutto era funzionale al nostro teatro, il luogo in cui vivere, l’auto, etc. E’ stato davvero duro all’inizio, ma avevamo l’energia, la spinta, la volontà e forse anche la tenacia per salpare per il folle volo.
Anna Dora: Credo sia stato il mio desiderio personale a coinvolgere anche Nicola. Ho avuto da subito una visione chiara del fatto che avrei voluto creare qualcosa di mio, condurre un percorso di esplorazione e ricerca in grado di esprimere una mia visione del teatro e dell’arte in generale. Non avrei potuto fare tutto da sola, Nicola è stato per me un compagno di viaggio indispensabile.
Perché il nome di "Instabili Vaganti"?
Nicola: Ci ispirava la tradizione dello spettacolo viaggiante, in fondo all’inizio ci ritrovavamo molto in questi ensemble di poche persone dove tutti si occupavano di tutto e pur di trovare spazio per il proprio lavoro si mettevano in viaggio. Inizialmente non pensavamo che tale nome avrebbe caratterizzato l’intera modalità di lavoro portandoci a questa sorta di “itineranza contemporanea”, legata allo sviluppo dei nostri progetti in vari paesi del mondo. Adesso sentiamo che è una modalità unica e cerchiamo continuamente gli strumenti e il supporto, anche psicologico, per accettare di essere nello stesso mese in 2 o 3 continenti differenti, di tornare a casa solo per di fare una valigia e riempirne un’altra, di passare da una lingua all’altra come se fosse la cosa più naturale. Colpa nostra, il nome lo abbiamo scelto noi.
Anna Dora: I nostri primi anni di lavoro sono stati caratterizzati dall’assenza di uno spazio per le prove e la ricerca e per una compagnia come la nostra che ha bisogno di lavorare quotidianamente sull’attore, è stato dapprima un ostacolo che fortunatamente siamo riusciti a trasformare in un’opportunità. Abbiamo cercato spazi che potessero ospitarci e istituzioni che potessero sostenerci, come il Grotowski Institute di Wroclaw, il Bauhaus di Dessau, e molti altri. Ma abbiamo anche lavorato nella natura, nei boschi, in garage, centri sociali, etc. Insomma ci sentivamo “Instabili” perché sempre in movimento e un po’ precari e “Vaganti” perché da subito abbiamo cominciato a girare il mondo. E queste due condizioni hanno determinate il nostro nome e il nostro destino.
Avete portato sul palco teatrale diverse tematiche sociali. E' l'osservazione critica della realtà ad ispirarvi?
Nicola: E’ una necessità, un’urgenza, che soprattutto negli ultimi anni sentiamo incombente. Nei primi lavori forse cercavamo la nostra poetica, la nostra identità come artisti, l’estetica, la precisione, la purezza, la bellezza. Oggi, forti della nostra identità artistica, avvertiamo il nostro ruolo di artisti nella società ed ogni tematica universale indagata trova il suo particolare, il suo tema specifico. La fabbrica diventa l’ILVA di Taranto, i desaparecidos diventano i 43 studenti di Ayotzinapa, che potrebbero benissimo essere gli studenti con i quali abbiamo lavorato in Messico negli ultimi 3 anni.
Anna Dora: Ci ispirano quasi sempre delle situazioni personali che poi diventano universali, oppure dei temi universali che ci permettono di scendere in un percorso individuale. E questo continuo rimando ci porta a prendere delle posizioni precise, che possiamo definire “politiche”, nel senso buono del termine, e quindi di conseguenza “sociali”. Il caso di “MADE IN ILVA”, il nostro spettacolo più conosciuto e premiato in Italia e all’estero, è emblematico. Siamo partiti dall’indagare il rapporto tra ciò che è organico e ciò che non lo è nell’azione dell’attore e del performer, poi siamo passati ai movimenti seriali, che ci hanno aperto all’immaginario della fabbrica. Per me, tarantina di nascita, fabbrica significa ILVA, e così sono nati i testi, le interviste agli operai, scendendo nella specificità dell’evento. Poi il processo di ricerca ci ha portato ad incontrare i testi poetici di Di Ruscio, e così siamo ritornati ad esprimere un messaggio universale. Direi quindi che ciò che ci caratterizza è un continuo processo drammatico che genera una tensione tra il nostro mondo ideale e la realtà, tra l’universale ed il particolare.
C'è un particolare target di pubblico al quale vi rivolgete?
Nicola: Il nostro teatro è universale archetipico, ma soprattutto essendosi da subito confrontato con pubblici molto diversi (in Asia, Iran, Nord Africa, Sud e centro America, Europa dell’est, Scandinavia, etc.) ha assunto una maniera empatica, emozionale e viscerale di trasmettere emozioni, messaggi, significati. In molti paesi anche i bambini hanno assistito agli spettacoli, anche ai più forti, trovando una propria chiave di lettura che passava per il corpo e le sonorità. Poco tempo fauna nostra college indiana mi ha mandato un video della figlia di 9 anni che dopo aver visto “MADE IN ILVA” imitava i movimenti meccanici uniti alle parole, dicendo che era il suo omaggio alla nostra performance.
Anna Dora: Ci piace rivolgerci a tutto il pubblico possibile, cercando anche di ricercare chi non è ancora attratto dal teatro, magari solo perché non conosce le forme di spettacolo contemporanee. In particolare i nostri spettacoli cercano di superare sempre il limite della lingua, del significato del testo e grazie a questo possiamo esportare i nostri lavori all’estero, dalla Corea al Sud America, l’Europa, l’India, etc.
Uno dei progetti più importanti al quale avete lavorato quest'anno e' stato "Desaparecidos#43", drammaturgia realizzata per dar voce alla tragica vicenda dei 43 studenti messicani di Ayotzinapa, bruciati vivi e sepolti in una fossa comune per mano del narco-governo. Cosa vi ha lasciato personalmente questa esperienza?
Nicola: Ci siamo ancora dentro, per noi è solo l’inizio. Il primo studio è nato come reazione ai messaggi che i nostri studenti ci inviavano dal Messico, informandoci di ciò che stava accadendo e che qui in Italia non aveva alcun riscontro sui nostri canali di informazione. Abbiamo sentito di dover dare il nostro contributo e di unirci alle tante azioni globali provenienti dagli artisti di diversi paesi. Ci siamo sentiti soli in una stanza buia, ma allo stesso tempo insieme a chi come ci dava il proprio contributo, mettendo la propria arte al servizio di questa tragica vicenda per chiedere giustizia, per non dimenticare. Non è semplice, a volte prima di addormentarmi sono tormentato dalle immagini iconiche dei 43 volti dei ragazzi scomparsi, ma la soddisfazione nel ricevere da tutto il mondo messaggi di incoraggiamento per il coraggio del lavoro che stiamo facendo, ci spinge ad andare avanti, talvolta rischiando, come nelle prossime tappe in Messico e Sud America.
Anna Dora: Lavorare a questo progetto è stato ed è ancora per noi molto difficile. Non si è trattato solo di creare uno spettacolo, ma di prendere una posizione anche rischiosa per la nostra attività all’estero. Tra poco saremo infatti nuovamente in Messico per la nostra tournèe e molti degli Stati in cui saremo, sono tristemente noti per il fatto di avere dei governatori corrotti e molti contatti con il narcotraffico. E’ il caso di Vera Cruz e Tampico, per esempio, dove ci è stato chiesto di non portare lo spettacolo Desaparecidos#43 perché troppo pericoloso. Presenteremo “MADE IN ILVA” e lavoreremo ad un nuovo step del progetto Megalopolis da cui è nato Desaparecidos#43. Il processo di creazione stesso dello spettacolo è stato molto duro per gli attori. Incorporare azioni forti, capaci di esprimere al pubblico la sensazione della sofferenza, della morte, della sparizione forzata, ha creato un clima nel lavoro molto pesante e a volte difficilmente sostenibile. Siamo stati torturati dalle immagini usate, dalle parole e soprattutto, dalle preoccupazioni per amici e conoscenti che prendevano parte alle manifestazioni. Però il ritorno umano che stiamo avendo in Italia e dal Messico è molto forte e ci fa sentire parte di una comunità che non si rassegna e che continua a lottare per I’affermazione dei diritti umani, non solo in Messico, ma nel mondo intero.
"Instabili Vaganti", oltre a portare in scena spettacoli teatrali, investe molto anche nella formazione di performer, organizzando corsi e workshop. E' il metodo di lavoro a fare la differenza sul palco?
Nicola: Il nostro lavoro è incentrato sulla figura del perfomer che affina quotidianamente i propri strumenti di comunicazione e di espressione. Per questo, per noi la formazione è fondamentale e quando siamo in tournée con gli spettacoli abbiniamo sempre una serie di workshops nelle università e accademie. Molti dei nostri progetti di ricerca sono aperti e si sviluppano attraverso sessioni di lavoro rivolte ad artisti e performer. Inoltre, ogni anno dirigiamo nel nostro spazio a Bologna, il LIV Performing Arts Centre, un international laboratory, un percorso di alta formazione indirizzato ad attori e danzatori che provengono da diversi paesi.
Anna Dora: Noi crediamo molto nella formazione, forse perché abbiamo costruito la nostra per diversi anni, seguendo maestri e continuando ad esplorare da soli le possibilità del performer. Una formazione continua che rappresenta la nostra ricerca e ci permette di scoprire sempre nuove vie di espressione e comunicazione. Talvolta siamo interessati ad aprire questa ricerca ad altri attori, per avvicinarli ai nostri progetti. Alcune volte, invece, si tratta di percorsi brevi ma intensi, altre di laboratori più lunghi destinati anche ad allargare l’organico della compagnia. E’ il caso dell’International Laboratory, un percorso di alta formazione, aperto ad attori provenienti da tutto il mondo che affiancano il lavoro della compagnia per sei mesi. Quest’anno si svolgerà da Gennaio a Giugno e stiamo avendo già molte richieste da diversi paesi.
Il vostro campo di azione non è circoscritto al territorio del Bel Paese. Sono state molte le occasioni che vi hanno visto impegnati in progetti e collaborazioni all'estero. Avete riscontrato modi diversi di fare teatro rispetto all'Italia?
Nicola: Ultimamente siamo molto soddisfatti dell’equilibrio che si è creato dalla circuitazione in Italia, dove abbiamo girato molto, soprattutto con “MADE IN ILVA”, e negli altri Paesi del mondo. A volte è come se, all’interno di una tournée mondiale, passiamo anche per l’Italia! Come in questo periodo in cui tornati dall’India, siamo stati in scena ad avamposti a Calenzano e attraversamenti multipli a Roma, per ripartire poi per l’Inghilterra, il Messico, l’Uruguay, l’Argentina ed il Cile. Non c’è più differenza, concepiamo il mondo come il nostro palcoscenico e anche nell’ideazione di progetti di ricerca e produzione, includiamo artisti di varie nazionalità. Ovviamente il teatro è diverso da paese a paese e dopo averne attraversati molti, possiamo affermare che il livello artistico che abbiamo in Italia è difficile da eguagliare. Anche se le condizioni di lavoro e la professionalità di alcuni paesi ci lasciano stupefatti. In Italia forse, siamo molto artisti e poco manager.
Anna Dora: Per rispondere a questa domanda sarebbe ormai necessario pubblicare un libro! In ogni paese in cui siamo andati, c’è un diverso modo di fare e concepire il teatro. Quello che posso dire, è che sicuramente l’Italia in questo momento, forse è un po’ limitante per chi lavora a livello internazionale come noi. I circuiti sono sempre gli stessi e quindi emergono pochi modi di fare teatro, nonostante l’enorme quantità di idee e risorse che invece ci sono. Sarebbe bello dare spazio a tutto ciò per mettere in evidenza l’enorme diversificazione e la grande qualità che invece viene prodotta, soprattutto da compagnie indipendenti come la nostra. In generale all’estero si guarda meno a chi c’è dietro un progetto (produzioni, residenze, festival) e più alla qualità del progetto stesso.
Attualmente state lavorando ad un progetto a Canterbury, di che si tratta?
Nicola: Siamo stati invitati dal Prof. Paul Allain della rinomata Università del Kent, a presentare “MADE IN ILVA” al Marlowe Theatre di Canterbury e dirigere due workshops nelle principali università della zona, quella del Kent appunto e la Christ Church University. Inoltre, abbiamo tenuto una conferenza all’Istituto Italiano di Cultura di Londra sul teatro fisico in Europa. Una settimana intensa, ma davvero remunerante in termini di ritorno dagli studenti e dal numeroso e caloroso pubblico. D’altronde in Inghilterra siamo di casa ultimamente, tanto per citare uno dei paesi in cui le cose funzionano molto bene.
Anna Dora: Il progetto a Canterbury è stato organizzato grazie alla collaborazione del Prof. Paul Allain, dell’Università del Kent, e dell’Istituto Italiano di Cultura a Londra e prevede due workshop, una data del nostro spettacolo “MADE IN ILVA” al Marlowe Theatre, il teatro stabile della città, ed un seminario sul nostro lavoro all’IIC di Londra. In particolare, i workshop sono per noi molto interessanti perché saranno rivolti agli studenti del Master in performing arts dell’Università del Kent e poi agli specializzandi della Christ Church University. Workshop pratici sul lavoro dell’attore e sul nostro metodo che è stato molto apprezzato, dandoci grande soddisfazione. Purtroppo l’esperienza è stata molto breve perché siamo in partenza per il Sud America dove continueremo il nostro world tour 2015.
Grazie siete stati veramente gentili nel concederci questa intervista.In boca al lupo per tutti i vostri progetti futuri.
Francesca Cavaniglia
UnfoldingRoma
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