Chi giocando con la Barbie non ha sognato di essere perfetta come lei, di avere quella bella casa, la macchina rosa e tutti quei vestiti che gli stavano così bene su quel corpo perfetto? Quel sorriso solare, quelle gambe lunghe su quel vitino da fata. Mentre si giocava nessuno di noi si preoccupava di verificare se in natura, quelle dimensioni potessero essere armoniche e soprattutto veritiere, se effettivamente potesse essere umana la circonferenza della vita in relazione a quella dei fianchi. A noi bastava sognare a come sarebbe stato bello essere come lei, a noi bastava creare storie ed entrare magicamente in un'altra personalità.
Poi crescendo si sono abbandonati i giochi e le illusioni e con l'adolescenza, in quel delicato e fragile momento in cui si lascia lo stato infantile per uno adulto, il corpo acquista un ruolo importante, centrale. Difficile accettare le modifiche, ci si sente spesso inadatti spesso sbagliati e la maturità corporea non va a passo con quella psichica.
Per raccontare in modo empatico, delicato e profondo quello che succede nel corpo, nel carattere e nello spirito, di un paziente affetto da disturbi alimentari, ma anche per dare un volto a chi queste storie le vive, le ha vissute sulla propria pelle o chi ha voluto rompere il silenzio e far comprendere ancora di più i vari aspetti della patologia, nasce il progetto dal titolo" I'm not a doll"
Tutto inizia in modo casuale durante un corso fotografico al Fotostudio con Francesco Amorosino. Per questo servizio Andrea Tubertini utilizza una "Barbie" e cerca in rete, per prendere spunto, più informazioni sulla bambola. Scopre che tanti sono gli scritti di psicologia che mostrano, quanto la bambolina di gomma, influenzasse gli adolescenti, quanto stretto fosse il legame tra le ragazze e Barbie. Da qui l'idea di proporre un progetto fotografico utilizzando il famoso giocattolo che potesse rivelare la metamorfosi umana verso la plastica finzione di un'irrealizzabile bellezza.
Utilizzando una tecnica digitale chiamata PhotoMorphing, che permette di fondere due immagini e Photoshop nasce il progetto. Sono 150, ad oggi, le ragazze coinvolte che hanno provato sulla loro pelle i DCA disturbi sul comportamento alimentare, malattia di disagio, sofferenza, mancata accettazione che utilizza il cibo per controllare quello che nella vita sembra incontrollabile.
Anoressia è come un "cancro dell'anima" racconta una giovane paziente, una vita come una banale sopravvivenza in attesa di una preferibile morte.
In questa malattia il pensiero è focalizzato sul cibo e le preoccupazioni sul proprio corpo, attraverso la metamorfosi si racconta la trasformazione fisica e psichica arrivando alla alessitimia, difficoltà di riconoscere le emozioni.
Metaforicamente, più il corpo si assottiglia più il cuore diventa di plastica.
Le ragazze, protagoniste di questo progetto, sono tutte testimoni della malattia, il loro autoritratto viene fuso con la foto di una Barbie pettinata e vestita come loro. Una dissolvenza di immagini che si conclude con un risultato sconcertante: un effetto ibrido, ne bambola, ne persona. Simboleggia quello che avviene con l'avanzare della malattia, si perde qualsiasi emozione diventando oggetti di plastica anaffettivi, inespressivi, impenetrabili.
Ogni fotografia è corredata da una didascalia, scritta dalla ragazza. Toccanti racconti di paure e di sconforto. Matilde, utilizza i numeri della bilancia per il controllo della sua vita, nulla di più importante se non quei numeri, ossessivi e tremendi. Il resto è nulla, solo buio. Beatrice, la cui testimonianza è incentrata sulla richiesta d'aiuto. Camilla, usa il cibo come consolazione e il bagno come esternazione del dolore. Tante storie, dolori e riscatti, racconti di ragazze che ne sono uscite con fatica o che ancora stanno lottando. Anche i ragazzi non sono esenti da questo dramma, ancora poche le testimonianze per paura di apparire erroneamente più deboli. Dave e Davide raccontano la loro ossessione ad emulare modelli, seguire canoni estetici esagerati che poco alla volta li allontanano da tutti, amici e parenti ritrovandosi soli con il cibo consolatore. Anche per loro la metamorfosi utilizzando dei Ken o dei Big Jim.
Ognuna è una storia a sé, triste, potente, disincantata, ma anche di speranza, una salvezza. Racconti di condivisione per sensibilizzare e informare su un malessere che colpisce 3 milioni di italiani, secondo posto in mortalità dopo gli incidenti stradali. Necessario formare uno spazio sociale per favorire la prevenzione e la comprensione ed esaltare l'unicità dell'individuo, ricordando che non siamo solo un corpo, ma siamo fatti di idee, progetti, paure e sogni ricordi ed emozioni.
"I'm not a doll" è un'idea fotografica, che ha la capacità di trattare questioni sociali in modo originale e rispettoso e lancia un potente messaggio in cui la perfezione non è auspicabile e non deve essere perseguita perché porterebbe solo alla serialità, a una finta bellezza: "io non sono una bambola, ma sono bella perché vera".
Con le fotografie e le storie, si punta all'esaltazione del fascino di ogni individuo, fatto di difetti e di imperfezioni ma proprio per questo di esseri irripetibili, capaci di vincere la malattia con l'autostima e la consapevolezza della propria unicità.
Per chi volesse approfondire o partecipare al progetto può scrivere su
instagram @andreauber #imnotadoll
Chiara Sticca
© Riproduzione riservata