Fino al 31 Maggio alla Galleria Micro, l’artista Mario Verolini, la “Resurrezione della Forma” a cura di Paola Valori.
Su Mario Verolini si è scritto molto, sulle sue forme e sull’ispirazione a Constable, Turner e Rothco.
Entrando nella sala del Micro, la prima impressione è di un mondo etereo e rarefatto; gli olii di Verolini, infatti, non definiscono, ma suggeriscono la forma, la accennano attraverso giochi di colore e luce.
Lo studio decennale del Maestro ci suggerisce infatti una profonda conoscenza delle atmosfere e dei giochi luministici suggeriti dalle velature dell’olio e dell’uso di vernici.
L’ispirazione a Bocklin, in particolare lo spunto de “l’ Isola dei morti”, è palese, come anche ritroviamo qualcosa di Monet, del “Levar del sole” in questo cielo rarefatto e i confini non definiti.
Più avanti, uno studio di chine rosse e nere ci portano ad una serie di opere moderne, dove la tridimensionalità è creata attraverso l’uso della luce.
Il tema è ricorrente, la natura, dove tra laghi e montagne si ritrova lo spirito dell’uomo, il rapporto con l’infinito e con se stesso attraverso segni e materia.
L’omaggio a Leonardo e ai suoi paesaggi è pertinente nell’opera di Verolini, come anche ne “La terra dei fuochi” e Resurrectio, dove l’artista gioca ancora sul paesaggio.
L’uso delle chine è simile allo studio dell’acquarello, con sapiente gioco di volumi e densità cromatica. L’oscillare tra terra, cielo e acqua crea dei paesaggi onirici, fantasmagorici, di rara energia.
Naturalmente lo studio del segno porta dal figurativo all’astrattismo, con il tocco di macchie, zone di vuoto e di ombra. In “Scarpata”, l’effetto della roccia è reso attraverso l’assenza di colore.
In sostanza, Verolini crea attraverso un linguaggio simbolico un mondo informale ed onirico dove il colore le ombre e la luce hanno un ‘importanza sostanziale nella creazione di atmosfere sospese nel vuoto.
Ho deciso di fare qualche domanda a Mario Verolini.
Quando ha cominciato a dipingere ad olio e quali sono stati i suoi riferimenti artistici e culturali?
Ho sempre dipinto ad olio, sin da ragazzo direi, e i miei riferimenti artistici e culturali sono stati la pittura Italiana, quella francese dell’ottocento e le Avanguardie storiche di inizi 900; più recentemente, quella americana del secondo dopoguerra.
Uno dei riferimenti fondamentali per la mia formazione è stata l’opera di Cesare Brandi e quella di Roberto Longhi, sui testi dei quali ho studiato acquisendo principi messi in opera in un confronto serrato col fare la pittura. Zevi ci parlava, per la storia dell’architettura, di “critica operativa”.
Lo studio dell’ architettura ha influenzato la sua attività artistica’? Se si, come?
Certamente, gli studi di architettura hanno ampliato l’arco dei miei interessi e hanno costituito l’occasione per confrontarmi con alcuni degli storici dell’arte e dell’architettura che insegnavano nella facoltà, da Bonelli a Calves,i a Zevi, a Portoghesi.
I riferimenti a Constable, Bocklin, Turner e Monet sono evidenti nelle sue opere, sia per le atmosfere che per i temi. Si ritrova in questa osservazione?
I riferimenti costituiscono quel che Eliot chiama la tradizione, dove il termine“tradere” significa tramandare, e cioè “tramando”. Le eredità culturali, tuttavia, non si ereditano, si conquistano, e per farlo occorre uno studio accanito, alla Leopardi.
C’è un legame tra lei e la Divina Commedia?
Dante è veramente il padre di tutti noi e la Commedia è l’esperienza principe dell’umanità. Parole inutili quasi, eppure si cerca così di testimoniare il valore dell’interiorità aperta alla rivelazione: non è facile rendere conto di radici così profonde, che trasmettono linfa vitale sempre. Talvolta anche le mie esperienze hanno aperto su dimensioni ineffabili.
Nella sua ultima mostra, “La resurrezione della forma”, è evidente lo studio dei volumi e della luce con chiaro riferimento ai vuoti e i pieni attraverso l’uso del bianco e nero. Si ritrova in questa affermazione?
I contrari che, attraendosi, si completano a vicenda; la luce, l’ombra sono segni di una dinamica interiore che si esplica in immagini confrontate col visibile o talora, paghe dei loro contrasti luministici, autoreferenziali. È l insegnamento dell’Action Painting. Si, si può dire.
Lo studio dei vuoti, dell’assenza di colore ha una valenza introspettiva? Se sì, perché?
Sì, l’assenza di colore facilita l’introspezione. Essenzializzata, la forma si avvale delle dinamiche luce/ombra, bene /male, di un dualismo espresso anche da pieno/vuoto, presenza/assenza. Gli opposti.
Un ringraziamento all’artista Mario Verolini e alla curatrice Paola Valori. La mostra sarà visitabile fino al 31 Maggio a viale Mazzini 1, nello spazio espositivo Micro.
Monica Pecchinotti
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