Gianluca Vialli, Il Soldato Sul Carso

Gianluca Vialli, Il Soldato Sul Carso

In una intervista al Corriere della Sera, l'ex juventino confessa la sua malattia

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Un figlio della Lombardia. Come Gianni Brera, come Paolo Maldini, come Giovanni Zini, un altro che veniva da Paderno Cremonese, a pochi chilometri da casa sua, che adesso si chiama Paderno Ponchielli come un compositore là nato nel 1834. Gianluca Vialli da Cremona dopo le giovanili del Pizzighettone, si era vestito proprio di grigiorosso. E ha iniziato ad alti livelli nel 1980 proprio in quello stadio, lo "Zini", intitolato a quell'uomo che all'epoca della sua scomparsa, era presidente della Cremonese. Era caduto in battaglia, nella Grande Guerra, sul Carso, da bersagliere. E forse oggi Gianluca, che ha vagato poi per il nord Italia (Sampdoria e Juventus) mietendo successi prima di esaudire la sua grande voglia di Premier League in Inghilterra, si sentirà un po' come Zini.

Ha anche lui una battaglia da vincere. Più o meno uguale a quella dello Zini, ma non è il caso di far paragoni fra cupe cose, è piuttosto il caso di far tramontare le cose futili. Vialli, virgulto e acrobatico sul terreno verde, dovrà essere altrettanto bravo, e per il momento ce l'ha fatta, a dribblare qualcosa di più grande e oscuro, ma allo stesso tempo molto chiaro. Parlare di una malattia è complicato e ciascuno affronta il fatto a suo modo. Chi ne parla senza problemi, chi la sfrutta come un trampolino verso la testimonianza sulla ricerca medica, chi invece se ne vergogna. Come lui, perlomeno inizialmente. Che portava un maglione sotto la camicia perché gli altri non vedessero. Non sappiamo, o forse sì, come si accolgono notizie così. Di certo sappiamo che da vergognarsi non c'è nulla, neppure un'unghia. Tutt'altro: l'aver celato per un anno quanto accaduto, ora che è tornato ad avere "un fisico bestiale", come ha raccontato al Corriere della Sera, non fa altro che fargli onore. Nessuna commiserazione né lacrime, ora che non ce n'è bisogno. 

Come lui, come tanti che combattono, la battaglia non è finita e siamo convinti che anche stavolta ci sarà parecchio recupero. Come quella sera di maggio del 1992 quando gioca con i blucerchiati la finale di Coppa dei Campioni col Barcellona, roba che nella storia della Samp tornerà forse fra cent'anni e passa.  Si mangia le mani Gianluca, che calcia fuori di pochissimo, insieme ad altre occasioni che fanno la differenza tra il trionfo e l'amarezza del gol di Koeman nei supplementari. Quattro anni dopo manco voleva tirarlo il rigore a Roma. Juventus-Ajax, altra finale, a lui che l'altra volta era andata male. E invece, da capitano, resta l'ultimo juventino ad aver alzato con la fascia al braccio la Champions League negli ultimi ventidue anni. E chissà che la Juventus non abbia uno stimolo in più ora per far bene in Europa. Vialli a un soffio dal Milan del neo arrivato Berlusconi nell'86, Vialli comunicatore di calcio in tv sempre col sorriso sulle labbra, Vialli allenatore e giocatore al Chelsea, Vialli calciatore ma soprattutto uomo, che, già che ci siamo, si pente di aver discusso con l'Arrigo nazionale e magari ai mondiali americani ci sarebbe stato pure lui, che a Italia '90 era la star tanto attesa e invece a brillare fu uno scugnizzo siciliano.

Buon Gianluca, non disperare, né per la tua carriera, cosa impossibile date le tante medaglie e i tanti gol non offuscati da un Mondiale storto o da una Coppa che magari era più bello far arrivare a Genova piuttosto che a Torino, né per l'attuale avversario che è l'osso duro più grande di tutti. Così leone e così fragile, così bravo a capovolgerti nelle tue proverbiali rovesciate che adesso da capovolgere c'è qualcosa di più grosso. Ma se aspetti il cross, guardi bene la palla e stacchi i piedi da terra, vedrai che anche stavolta sarà gol. E dal Carso, stavolta, un soldato tornerà sano e salvo.

Stefano Ravaglia 

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