La Belva Giudea. Quando La Memoria Rende Liberi - Alessia De Antoniis

La Belva Giudea. Quando La Memoria Rende Liberi - Alessia De Antoniis

Quanto è nobile l'arte che va in scena sul ring dell'OffOff Theatre di via Giulia fino al 2 febbraio? La Belva Giudea: una sequenza di round sul ring della vita.

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Luci, sipario, si gira. Ed ecco l'ennesima incursione delle tecniche cinematografiche in quel teatro che i puristi vorrebbero restasse estraneo a cinema e televisione. Solo che, stavolta, l'esperimento è riuscito. Il palco si trasforma in un set cinematografico, le luci creano scene lontane tra loro nello spazio e nel tempo, la linea temporale è quella di un film, con continui flashback che ci trasportano da un ring ad un lager, da un paese in riva al mare ad un treno di deportati, dall'Europa nazista agli Stati Uniti.

Cinque round. Questo il breve lasso di tempo per raccontare una vita, una storia, “La” storia: quella di Hertzko Haft, un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio per amore di una donna, Leah; quella di un'arte nobile che da attività sportiva, diventa intrattenimento mortale come ai tempi dei gladiatori nell'arena; e, sullo sfondo, quella di un popolo che, come altri, ha lottato per sopravvivere allo sterminio.

Lui è 1444738. Un polacco privato del suo nome, premiato con un soprannome che forse è ancora peggiore del numero: la Belva Giudea.

75 sono gli incontri che è costretto a vincere nei lager nazisti. Mors tua vita mea è la regola su quei ring che di nobile non avevano più nulla. 75 gli avversari uccisi come in una via crucis verso la libertà, verso la donna che aveva sempre amato fuggita in America.

Su quel maledetto e benedetto ring sudore vero, quello di Gianpiero Pumo, non solo autore del testo, ma anche attore e pugile. Insieme a lui Filippo Panigazzi, nei panni di un giornalista costretto ad ascoltare il racconto di una storia che nessuno scrittore, per quanto folle e perverso, avrebbe potuto inventare: quella dei campi di concentramento.

Una storia vera, quella di Hertzko Haft: internato a quattordici anni, venne scelto da un ufficiale delle SS per incontri di boxe fra prigionieri. Una volta libero, sbarcò in America sotto il nome di Harry Haft per ritrovare Leah. Doveva far apparire il suo nome su tutti i giornali per farle sapere che anche lui era fuggito negli States. E c’era un solo modo per farlo: sconfiggere il campione del mondo dei pesi massimi, Rocky Marciano.

Pumo e Panigazzi ci restituiscono un testo veloce, uno scambio di battute che arrivano allo spettatore come i pugni di un combattimento: destro, sinistro, gancio. Solo che non li schivi mai. Gli schizzi di sudore e di bava ti arrivano addosso con fastidio: sono gli schizzi dei frammenti di una storia impossibile da negare e troppo vicina per essere dimenticata. Una storia che rende l'Europa tragicamente unita: nell'odio razziale.

“La Belva Giudea” non è una piéce commovente. Solo una sequenza di emozioni che arrivano come pugni: presi o schivati.

“Schiva e colpisci! Schiva e colpisci!” ripete Haft. Ma tu non schivi niente, non puoi. Sei lì anche tu, in quel ring che inizia sul palco e, idealmente, prosegue inglobando tutta la platea.

“Mi è capitato tra le mani un fumetto. Narrava la storia della Belva Giudea. Ho cercato il testo originale. Ne sono rimasto affascinato e l'ho voluto raccontare in teatro. Il mio obiettivo è quello di portare questo spettacolo nelle palestre, direttamente sul ring, per raggiungere un pubblico il più possibile trasversale e avvicinarlo al teatro”.

Questa la breve genesi dello spettacolo all'OffOff Theatre raccontata dal bravissimo regista Gabriele Colferai. Questo il contributo di Dogma Theatre Company alla memoria. Una memoria da condividere tutti i giorni dell'anno, in un'ottica in cui non è il lavoro a rendere liberi, ma la conoscenza.

Quanto è nobile l'arte combattuta dalla Belva Giudea?

“Io non ho mai ucciso nessuno. Mi stavo solo salvando”. Hertzko Haft.

Alessia de Antoniis

Uno spettacolo patrocinato dalla Comunità Ebraica di Roma, dal CONI e dalla Federazione Pugilistica Italiana, nonché vincitore del premio Miglior Regia al festival Shortlab 2018 e meritevole di menzione dal Teatro di Roma nella Giornata della Memoria 2019.


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