CRONACA DI UNA GIORNATA UNICA E IRRIPETIBILE (FORSE)

CRONACA DI UNA GIORNATA UNICA E IRRIPETIBILE (FORSE)

26 MAGGIO 2013 LA SUPREMAZIA CITTADINA NON POTRA MAI PIU ESSERE MESSA IN DISCUSSIONE (FORSE)

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Vincere è cosa bella, goduriosa e paradisiaca. Quest’ultime undici lettere, proprio di un'esperienza che trascende la consueta dimensione del piacere, elevandosi a un livello di notevole eccezionalità o privilegio, come riporta il Dizionario, si può racchiudere la felicità di un qualsiasi tifoso laziale alla fine di quel derby del 26 maggio 2013, firmato Lulic al 71’.

La partita fissata alle ore 18 per motivi di ordine pubblico, ma con tutta Roma in frenesia già dalle prime ore del mattino. Le settimane precedenti erano state per molti tifosi laziali, giorni difficili in cui fare una scelta precisa, andare o non andare allo stadio. Per molti il solo pensiero di una sconfitta fece maturare la decisione di non andare, di non partecipare a un evento che comunque fosse finito sarebbe rimasto nella storia, una supremazia cittadina per l’eternità.

Quelli che scelsero di andare, in tantissimi bisogna dire, quasi 25 mila, erano consci di poter e voler guardare il nemico, calcisticamente parlando, in faccia non solo per 90 minuti, ma per le tante ore precedenti all’incontro e soprattutto per i festeggiamenti post finale. Fatto sta che a mezzogiorno la stragrande maggioranza dei tifosi laziali era a Ponte Milvio, a sei ore dall’incontro erano tutti allineati e coperti e pronti a scoprire cosa aveva preparato la Curva Nord per l’occasione, tutti pronti a partecipare a scatola chiusa come sempre, anche perché la Curva non ha mai fallito un evento, scenograficamente parlando.

Telefonini spenti, all’epoca le batterie duravano poco e non si poteva rischiare di non avere la carica per il dopo, qualunque esso fosse stato. Il dopo era il pensiero di tutti i presenti all’Olimpico, ma nessuno mai lo confesserà. Stadio con 50 mila persone presenti più tutti gli addetti ai lavori, comunque campo per le chiamate non ci sarebbe stato nemmeno a telefonini accesi, il 4G era ancora lontano. 

Cancelli aperti alle 15, l’Olimpico alle 16 era già pronto per l’evento. Le ore passarono svelte, ogni tanto qualche striscione a ricordare chi fosse nato prima o gli anni di serie B, nulla di diverso da un normale derby, ma la verità era che tutti i presenti avevano capito di essere stati catapultati dentro la storia, quella storia che si sarebbe tramandata di anno in anno, di social in social, di essere co-protagonista principale di un avvenimento memorabile, finalmente la supremazia cittadina poteva essere scolpita non sul marmo, ma su una Coppa Italia.

Dell’ingresso in campo si ricorda poco, della scenografia laziale molto di più dato che fu portata dopo la partita sul prato dell’Olimpico e posizionata ben distesa sul campo da gioco. La mente va al 71’ quando Senad Lulic spinge quella palla in rete. Da quel momento le sensazioni di ogni tifoso laziale sono contrastanti, di incredulità o di essere capitato al posto giusto nel momento giusto ed essere parte integrante della pagina più importante della storia della SS Lazio. 

19 minuti in cui nei volti della gente laziale si poteva leggere e interpretare di tutto. “Ho visto una ragazza piangere per tutto il tempo che mancava alla fine e mi chiedevo il perché, in fondo eravamo in vantaggio, certo potevano pareggiare e si sarebbe rimesso tutto in discussione, ma tutti sentivamo che non sarebbe successo ma lei continuava a piangere” disse un tifoso presente in distinti nord. Al fischio finale l’apoteosi, i social e le tv poi ci mostreranno Totti e compagni guardare la nord con le mani ai fianchi, chi era sugli spalti cantava e si abbracciava come se non ci fosse un domani capendo che quello che era successo in campo era stato deciso anche da loro, da ogni singolo comportamento, da ogni canto o stendardo mostrato con vigore. 

Il dopo, tanto temuto, è arrivato, per l’altra metà del Tevere è stata l’ennesima delusione, per i laziali gioia pura, amore verso quei colori per molti anni vituperati da accadimenti non sempre chiari a molti di loro. Festa sugli spalti con un orgoglio assoluto, nessun incidente, nè tentativi di invasione di campo. Giocatori che hanno fatto festa su un campo biancoceleste e un cielo stellato a fare da sfondo, metà stadio in festa tra canti e balli e metà stadio vuoto, lasciato dai tifosi romanisti subito dopo il fischio finale. Si raccontano storie biancocelesti del famoso il dopo, tifosi tornati a casa a mezzanotte e festeggiati come se fossero stati loro stessi in campo, il solo fatto di aver scelto di esserci fa di quei 25mila tutti eroi, conquistatori, condottieri di romana antica memoria. 

Le vittorie non sono tutte uguali, se non per il solo fatto che chi le racconta cambia con il tempo, cambiano i mezzi per ricordarle e cambia l’età della gente. I racconti dei nostri padri per lo scudetto del ’74, il tricolore del 2000 con i fatti di Perugia e dell’anno precedente e poi la Coppa Italia. Perché sì, bisogna scriverlo, per molti questa vittoria è stata la più importante, la storia che mai potrà essere scalfita, la supremazia cittadina forgiata su un trofeo e vinta sul campo.

Non ci sarà rivincita, non potrà mai esserci (forse).

GIUSEPPE CALVANO


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