La vita sospesa durante la pandemia nelle opere fotografiche di dodici autori, nelle sale di Palazzo Barberini fino al 13 giugno 2021, scatti che raccontano l’Italia durante l’emergenza sanitaria, una “Italia in-attesa”, titolo che ha una doppia chiave di lettura.
Più di cento le fotografie esposte lungo un percorso che si snoda tra cinque diversi ambienti di Palazzo Barberini (Sala delle Colonne, Cucine Novecentesche, Sala Ovale, Sala Paesaggi, Serra) – tre dei quali aperti al pubblico per la prima volta in questa occasione – creando un dialogo suggestivo tra presente e passato, storia e attualità, architettura e immagine. L’esposizione è curata da Margherita Guccione, Carlo Birrozzi, Flaminia Gennari Santori, promossa dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e realizzata dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea e dall'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, in collaborazione con le Gallerie Nazionali di Arte Antica.
Le opere fotografiche sono di dodici autori: Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Mario Cresci, Paola De Pietri, Ilaria Ferretti, Guido Guidi, Andrea Jemolo, Francesco Jodice, Allegra Martin, Walter Niedermayr, George Tatge.
Diverse generazioni di fotografi che hanno messo il focus sulla straordinarietà della pandemia, che hanno raccontato il vuoto, la sospensione della vita ordinaria, tra paesaggi urbani ed extra-urbani, siti e luoghi della cultura e i loro stessi spazi vitali, varie le modalità e le tecniche scelte negli scatti, tra tradizione e sperimentazione.
Un racconto corale, di un momento storico che passerà alla storia dell’umanità intera, le immagini e le fotografie prodotte per Italia in-attesa e Città sospese entreranno a fare parte delle collezioni dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e saranno destinate a un fondo dedicato alla documentazione del Paese nei mesi difficili dell’emergenza pandemica.
Abbiamo chiesto alcune informazioni aggiuntive alla Direttrice delle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini, Dottoressa Flaminia Gennari Santori, che abbiamo incontrato durante il percorso della mostra.
Prima mostra del 2021 per Palazzo Barberini, prima volta di una mostra fotografica, come mai questa scelta?
Questa è la prima mostra totalmente fotografica a Palazzo Barberini. E stata una congiunzione con i colleghi della Direzione Generale Creatività Contemporanea e dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione che mi hanno proposto di fare questo progetto insieme, sapendo il mio interesse per le esposizioni legate allo “spazio” (che avevo già messo in atto nella precedente mostra “Eco e Narciso” qui a Palazzo Barberini e in quella di Robert Mapplethorpe alla Galleria Corsini). Ed abbiamo quindi individuato gli spazi, ragionando sugli stessi, in maniera differente e contemporanea.
Avete aperto sale e spazi nuove per questa mostra, che tipo di sensazione le provoca?
Palazzo Barberini non si finisce mai di scoprire, nel senso che ci sono ancora altri spazi che non sono mai stati aperti al pubblico o che vanno ripensati e rimodulati, una dimensione nuova del Palazzo da poter condividere con il nostro pubblico, con i nostri spettatori. Questo palazzo è un vero e proprio “microcosmo”, abbiamo voluto dare una nuova dimensione al giardino o, per esempio, a quelle che noi chiamiamo “cucine novecentesche”, che poi era “la Stanza del Leone”, a tutto quello che ha un profondo legame con la natura, o con un’idea di natura sempre legata alla cultura Barocca del Museo. Per me era essenziale che Palazzo Barberini non fosse solo le sue sale e quello che in esse è contenuto, ma tutto il luogo.
Le faccio una domanda che esula dalla mostra, secondo lei è stata una scelta giusta chiudere i Musei e i luoghi di cultura?
Non sono un epidemiologo né tantomeno mi occupo di sanità pubblica, sono certa che se questa è stata la scelta fatta è stata ponderata molto bene. Spero certamente di riaprire presto, anche nel weekend, per accogliere in totale sicurezza e nel rispetto di tutti i Dpcm, il pubblico, in totale tranquillità, forse quello di cui tutti noi abbiamo più bisogno, oltre a cultura e bellezza.
Cosa si prova ad entrare a Palazzo Barberini la mattina?
Devo dire che ancora mi emoziona, fa sempre un certo effetto, così come entrare alla Galleria Corsini.
La visita termina nella Serra, splendidamente illuminata dal sole, che apre al pubblico il suo spazio, dove troviamo le opere di Andrea Jemolo e Ilaria Ferretti. E’ a quest’ultima, marchigiana di origine e torinese d’adozione, che chiedo alcune informazioni circa le sue undici fotografie in mostra, dalle quali sono stata letteralmente rapita.
La sua esposizione inizia con un nido vero, in teca, e con la relativa immagine fotografica, perché?
Il nido per me è simbolicamente legato alle altre immagini che riproducono Visso (comune marchigiano, distrutto dal terremoto del 2016, ancora in attesa di ricostruzione), metafora della casa, un po' di un ritorno alla realtà, ad una dimensione di vita più a misura d’uomo, più naturale.
Ci spiega la sequenza dei suoi scatti?
Il racconto inizia con la piazza di Visso che è ancora zona rossa, interdetta, senza avere nessun tipo di previsione circa la sua ricostruzione, e poi continua con un excursus urbano in piccoli centri della provincia italiana tra le Marche e l’Umbria.
Una miniserie di tre scatti è dedicata a Gubbio, è il racconto della Festa dei Ceri di Gubbio che cade normalmente il 15 maggio e che nel 2020 non si è potuta fare. Un evento storico, perché la Festa dei Ceri è stata annullata solo durante la prima e la seconda guerra mondiale. Le foto sono di una Gubbio vuota, riprese nelle stesse angolazioni delle famose “birate”, durante la manifestazione celebre in tutto il mondo.
Al centro troviamo uno scatto che è un omaggio alla celebre immagine del fotografo ceco Josef Koudelka “l’orologio”, dedicato alla Primavera di Praga del 1968.
Ho voluto fare uno scatto che ricordasse la Primavera di Praga, perché come allora, saranno le fotografie che racconteranno questo particolare periodo, che sicuramente passerà alla storia, e che è stato raccontato dai media come se fosse una vera e propria guerra, ecco spiegato il simbolismo con il celeberrimo scatto di Koudelka.
Ho voluto enfatizzare questa cosa al massimo!
La mostra merita assolutamente di essere vista.
Articolo di Stefania Vaghi
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