La Media-art Di Quayola A Palazzo Cipolla

La Media-art Di Quayola A Palazzo Cipolla

Re-coding: un'esposizione totalmente immersiva ci racconta il percorso artistico di uno dei più importanti esponenti della media-art internazionale.

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Fino al prossimo 30 gennaio sarà possibile visitare la mostra “Re-coding” dell’artista italiano, ma trapiantato a Londra, Quayola, classe 1992, la sua prima personale capitolina che è un viaggio totalmente immersivo nella tecnologia computazionale nell’arte di uno dei più importanti esponenti della media-art internazionale.

Un ritorno in grande stile nella città che gli ha dato i natali, ma dalla quale è fuggito alla ricerca di nuove ispirazioni, con la sua visione dell’arte attraverso i più moderni mezzi digitali, in una fusione alchemica e assolutamente d’effetto tra quella che è l’arte classica, il barocco, l’arte contemporanea tradizionale e la razionalità pura della scienza e della tecnologia, con l’ausilio della robotica, dell’intelligenza artificiale e dei software generativi, conditi dalla stampa 3D.

Quayola riapproda ad abitare a Roma, per far vivere al figlio piccolo la sua giovinezza romana, in un senso di vicinanza alla famiglia, ma anche per cercare una nuova ispirazione artistica legata al classico, un volersi “ricaricare” grazie all’enorme componente storica che solo Roma può regalare.

Entrando si viene letteralmente rapiti dalla genialità di Quayola che con la sua esposizione totalmente immersiva, ci presenta tre aree tematiche ben definite e strutturate: l’iconografia classica, le sculture non finite, e la tradizione della pittura di paesaggio, che rappresentano un viaggio nella sua produzione dall’inizio sino al 2021.

Le sue sculture in polvere di marmo e resina o ferro, che omaggiano Roma e ci riportano ai fasti del Bernini sembrano quasi dialogare con Strata #1, il video proiettato a soffitto, che riproduce l’infinito di Michelangelo in digitale, una delle sue opere di esordio, con geometrie astratte, righe, sezioni, punte, che contaminano l’opera.

Tutte le opere di Quayola ci danno una reinterpretazione del classico, da Raffaello, a Botticelli, a Rubens, si rimane per interminabili minuti incantati, in silenziosa attesa, quasi ipnotizzati per vedere l’evoluzione multimediale di ogni singola opera, che solo apparentemente sembra essere ferma, statica.

Particolare ed affascinante la candida sezione dedicata alle sculture non finite ma è nella sezione dei paesaggi che, secondo me, Quayola sublima la sua forma artistica, il suo segno distintivo, che rapiscono lo spettatore.

Meravigliosi i suoi Jardin d’Etè, ma è nell’ambiente finale dov’è esposto Remains: Vallée de Joux che si ha la sensazione di essere in una vera e propria passeggiata in un bosco in bianco e nero, veramente spettacolare.

Giovane ma già ultra celebre, Davide Quayola vanta esposizioni eccellenti al V&A Museum di Londra, al Park Avenue Armory di New York, al Centro Nazionale d'Arte di Tokyo e al Palais de Tokyo a Parigi, solo per citarne alcune.

Ho avuto il piacere di incontrare l’artista e fargli qualche domanda.

Quayola è questo il futuro dell’arte contemporanea?

Ti direi ni, nel senso che comunque nel mondo dell’arte contemporanea è pieno di tecnologie all’avanguardia, di robotica, qualsiasi workshop utilizza i robot. Non è tanto l’utilizzo ma il come viene utilizzato, che tipo di relazione si ha con questi mezzi.

E’ lei come li utilizza?

Per me la tecnologia non è un semplice strumento, è un collaboratore. Non uso la tecnologia per sviluppare delle mie idee, collaboro con la tecnologia per scoprire nuove idee, nuove visioni. E’ nella mia pratica artistica la tecnologia, è anche il tema stesso del mio lavoro, il processo tecnologico diventa l’opera stessa. Questa è una mia visione, una tensione personale che ho verso la tecnologia. Penso che la tecnologia possa offrire la giusta contestualizzazione per la sperimentazione nell’arte contemporanea, per scoprire qualcosa di nuovo.

In mostra c’è un excursus di tutta la tua produzione di oltre un decennio, quali sono le opere a cui è più legato e che rappresentano al meglio la sua “metamorfosi” negli anni?

Diciamo che le opere che sono qui in mostra sono una selezione, della selezione, della mia produzione, per cui raccontano il mio lavoro abbastanza bene. Se proprio dovessi scegliere, ma non so se è una cosa giusta, ci sono queste incisioni su alluminio, questi disegni preparatori, questa specie di sinopie, che secondo me rappresentano l’aspetto più puro e coerente della mia produzione. Sono degli ibridi, dei processi chimici per l’anodizzazione dell’alluminio, sono quelle che rappresentano al meglio il processo di analisi dei dipinti. Da una parte c’è il fregio del Ratto di Proserpina che presento qui che è stata l’ultima opera, terminata nel 2021; che rappresenta un punto di sintesi interessante nel mio percorso della scultura. Mentre per tutta la parte dei video, un punto importante è rappresentato da Jardin d’Etè, dove ho capito questa nuova estetica. Le opere importanti sono quelle dove in qualche maniera rappresentano un punto di svolta, dove ho capito nuove dinamiche, nuove estetiche, e sono riuscito a sintetizzarle al meglio.

Mentre il video a soffitto, che è del 2007, è da dove ho iniziato il mio tipo di studi e a cui sono particolarmente legato.”

La mostra è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, è realizzata da Poema con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia ed è curata da Jérôme Neutres e Valentino Catricalà.

Articolo di Stefania Vaghi

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