“La Tempesta” Di Alessandro Serra: Il Teatro Del Terzo Millennio

“La Tempesta” Di Alessandro Serra: Il Teatro Del Terzo Millennio

Uno spettacolo ben messo in scena che ha emozionato il pubblico - un lavoro che si consiglia di non mancare.

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In scena fino a domenica 15 maggio al Teatro Argentina di Roma, dopo aver debuttato giovedì 28 aprile, “La Tempesta” di William Shakespeare, diretta da Alessandro Serra che di questo allestimento cura anche adattamento, traduzione, luci, scene, suoni e costumi.

Lo spettacolo è interpretato da Marco Sgrosso, Maria Irene Minelli, Chiara Michelini, Jared Mcneill, Fabio Barone, Andrea Castellano, Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Valerio Pietrovita, Bruno Stori, Vincenzo Del Prete e Massimiliano Poli.

Le maschere sono di Tiziano Fario.

È abbastanza evidente che Alessandro Serra, oggi, sia il regista più interessante sulla scena italiana, senza nulla voler togliere ad altre sue esimie colleghe e ad altri suoi esimi colleghi che in questi ultimi anni hanno firmato veri e propri capolavori.

E ci si sbilancia nell’affermare quanto precede forti della convinzione che la sensibilità e il talento del regista di cui si parla si declinino in proposte molto diverse dalle tante altre attualmente presenti sul panorama teatrale nazionale.

Serra che, come già anticipato, si occupa di quasi tutti i comparti formanti lo spettacolo teatrale, offre agli spettatori dei suoi lavori veri e propri momenti esperienziali in grado di distogliere, come raramente accade in altre occasioni, dal “logorio della vita moderna”.

“La Tempesta” attualmente in scena presso la sala ammiraglia del Teatro Di Roma è la perfetta esemplificazione di quanto appena dichiarato.

E lo è, duole dirlo, anche a scapito di due degli elementi fondamentali del mezzo in questione: la storia narrata e gli attori.

Ultima opera di William Shakespeare, spesso – se non sempre – definita come il testamento del drammaturgo più famoso della storia, la commedia in questione porta in sé la raffinatissima energia di un commiato in grande stile.

L’usurpato Prospero, fu Duca di Milano, “accoglie” nella sua nuova dimora, un’isola della quale comanda gli elementi e nella quale comanda lo spirito Ariel, alcune delle persone che facevano parte della sua vecchia vita, tra i quali, il fratello traditore Antonio, adesso naufragato – ignaro – nel nuovo possedimento del congiunto contro il quale aveva tramato.

Serra prende il dramma e sembra piegarlo alle sue - legittime - esigenze visionarie.

È tutto ciò appare chiaro a partire dalla scelta – a dir poco coraggiosa, e probabilmente provocatoria, in tempi di feroce politically correct – di affidare il ruolo del “mostro” Calibano ad un attore di colore, non madrelingua italiano – il Jared Mcneill già citato –, alla maestosa messa in scena della furia che sbatte i naviganti al di fuori delle loro imbarcazioni, passando per la costruzione di scene giocate sulle abilità fisiche degli interpreti che sembrano essere più meri esecutori che reali fautori delle azioni che animano la rappresentazione.

Il suddetto spettacolo è contenitore stracolmo dell’abbondante predisposizione del regista a creare quadri ricchi di raffinati particolari.

Dalle meravigliose luci e musiche che ricordano i saloni regali di Versailles ai tempi dell’opulente monarchia Pre Rivoluzione francese fino ai costumi in cui al candido bianco dei Padroni di Casa si contrappongono gli accesi colori degli ospiti che arriveranno, ancor prima di scorgere tutte quante le “stoffe” – con i relativi disegni – che cadranno dal Cielo a vestire i membri della nuova comunità, o della “nuova compagnia”, che nascerà in seguito al viaggio che tutti i personaggi – da testo – saranno chiamati ad affrontare e che, nonostante tutto, affronteranno.

E infatti la questione ultima e principale dello spettacolo, ad un occhio particolarmente interessato alla storia in quanto tale, sta tutto qua: ossia nella difficoltà a riconoscere, in questo adattamento, il percorso spirituale di liberazione, non solo di Ariel, ma di tutti quelli che sono nati dalla penna del Bardo.

Le scene sono indubbiamente recitate bene da ogni singolo attore e all’apparenza non manca nulla, ma ci si scopre alla ricerca – da spettatori - della tensione che dovrebbe animare ogni azione, ogni sospiro, ogni passo, in un qualsiasi arco drammaturgico.

Miranda e Ferdinando si promettono al primo sguardo e così il tutto rimane.

Alonso, il Re, dopo aver smarrito il figlio all’inizio della narrazione lo ritrova ed ha l’happy ending assicurato e Prospero avrà visto compiersi, delicatamente e senza particolari scossoni, il piano progettato.

Solo la liberazione di Ariel regala qual senso di leggerezza che lo stesso testo suggerisce, offrendo un sollievo che comunque non trova, nei 105’ precedenti, un contraltare di tensione degno si essere chiamato tale, essendo tutto il lavoro più godibile come una magnifica istallazione vivente che non come uno spettacolo teatrale vero e proprio.

Ad ogni modo, al netto di questa valutazione che può – naturalmente - essere oggetto di contraddittorio, un lavoro che si consiglia di non mancare.

Giuseppe Menzo 

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