Confermando la sua politica di un’offerta che rompe gli schemi degli spettacoli omologati su un filone tradizionale, il Teatro Off Off di via Giulia a Roma ha inaugurato la stagione nel segno del giallo portando in scena “Il Caso Estermann” ovvero la vicenda che, nel 1998, interessò la stampa di mezzo mondo per un efferato assassinio e suicidio avvenuto fra le mura del Vaticano. Le vittime sono il nuovo comandante della Guardia Svizzera Pontificia, appena nominato Alois Estermann e sua moglie Gladys Meza Romero, che, secondo la versione della Santa Sede, hanno trovato la morte per mano del giovane vice caporale Cédric Tornay che poi si è sparato a sua volta. Dal raptus di follia fino al delitto passionale per cercare di dare un motivo a quella strage di corpi con un’indagine che viene condotta male e in maniera approssimativa all’interno delle mura del Vaticano senza nessun ausilio da parte delle autorità italiane.
A riaprire quel vaso di Pandora pieno di incongruenze e di ipotesi che portano a eventi più grandi legati alla Massoneria e all’Opus Dei, ci prova Giovanni Franci scrivendo e dirigendo un testo che ricalca i format di cronaca nera a cui il piccolo schermo ci sta ormai abituando. Infatti, l’autore, si serve del legittimo desiderio di ricerca della verità di cui è animata la madre del ventitreenne caporale Muguette Baudat, per mettere sul tavolo tutti i fatti e le contraddizioni di una storia destinata a rimanere un mistero irrisolto. Brava Laura Lattuada che, nei panni della madre, invita i suoi due avvocati, interpretati da Alberto Melone e Riccardo Pieretti, ad esporre ogni particolare come se davanti a loro ci fosse un pubblico ignaro di ogni cosa che vuole prima di tutto capire.
E gli spettatori capiscono soprattutto la chiusura di uno Stato Vaticano lontano da valori spirituali che non risponde nemmeno con il suo più alto rappresentante alle lettere che vorrebbero la riapertura del caso. Ma, pur riservando calorosi applausi finali, la platea rimane nello stesso atteggiamento di chi spegne la televisione o passa ad un altro programma. Eh già perché quella linea fra inchiesta televisiva e messa in scena teatrale non viene accentuata dall’elemento chiave di uno spettacolo dal vivo ovvero l’emozione. Troppe volte il recitato lascia spazio ad una lettura quasi didascalica e a tratti anche troppo veloce senza che possano trasparire le sensazioni più intime dei protagonisti perché alla fine anche gli avvocati hanno un’anima. Bello, invece, il gioco di luci e il lavoro che è stato fatto con lo schermo che, grazie alle immagini e alle didascalie proiettate ha contribuito a dare di più l’effetto di una trama.
Rosario Schibeci
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