DECRETO SICUREZZA

Perché è inutile imporre la chiusura dei “negozietti etnici” dopo le 21:00

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Sta facendo discutere il Decreto Sicurezza redatto dal Ministro dell'interno Matteo Salvini che propone, tra le varie novità in tema di immigrazione, la chiusura forzata dei “negozietti etnici” alle ore 21:00 per evitare che, secondo le testuali parole del titolare del Viminale, “questi esercizi diventino ritrovo di spacciatori e di gente che fa casino”.

Critiche severe al provvedimento sono giunte da Mario Bussoni, Presidente di Confesercenti. “Non si può fare una norma che discrimina determinati imprenditori rispetto ad altri.- Sostiene Bussoni - Chi ha un’attività commerciale ha diritti e doveri: il dovere di rispettare le regole e il diritto di restare aperti, sia che siano esercizi gestiti da stranieri, che da italiani”

Mentre Carlo Rienzi, presidente del Codacons, pur non essendo del tutto contrario alla norma, ne chiede un'applicazione equilibrata e che tenga conto anche delle esigenze degli acquirenti. “Crediamo che in materia di commercio e sicurezza non sia corretto generalizzare. Tali negozi etnici – Prosegue Rienzi - sono molto utili ai consumatori, perché rimangono aperti più a lungo degli altri esercizi e commercializzano una moltitudine di prodotti di diverse categorie, consentendo ai cittadini di fare acquisti “last minute”. Certamente la loro apertura va vietata in tutti quei casi in cui gli esercizi in questione creino disordini o danneggino le bellezze artistiche della città” 

In attesa di informazioni più precise, dal momento che la norma sembra ad oggi ancora molto fumosa, non si può fare comunque a meno di porsi alcune domande: Che cosa sono i “negozietti etnici” e quali sono le caratteristiche che li rendono tali? Che cosa accade di tanto terribile dalle 21:00 in poi che non potrebbe accadere anche prima? 

Se con “negozietti etnici” si intendono tutti i negozi gestiti da un immigrato di prima, seconda o terza generazione (che potrebbe anche essere un cittadino italiano o comunitario) la legge risulterebbe incostituzionale in quanto andrebbe palesemente in contrasto con quanto espresso nell'articolo 3 della costituzione:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Se invece con etnici si intendessero quei negozi che vendono prodotti appartenenti alle tradizioni alimentari di paesi extra-europei, resterebbe ugualmente poco chiaro perché solo tali esercizi dovrebbero essere penalizzati dal decreto.

Anche l'orario stabilito per la chiusura forzata, le 21:00, non sembrerebbe scelto sulla base di un criterio logico, dal momento che non corrisponde, in maniera univoca, né con l'inizio della notte (d'estate il buio arriva molto più tardi e in inverno molto più presto) né con la fine della giornata lavorativa (le abitudini degli Italiani cambiano molto sia spostandosi dalla città alla provincia che dal Sud al Nord). Inoltre non esiste e non è mai esistito un orario per violare le legge; chi delinque lo fa a qualsiasi ora e chi è onesto non smette certo di esserlo alle 21:00.

Resta il fatto che il Ministro dell'Interno ha dimenticato l'aspetto più importante della questione. Alcune comunità etniche, come ad esempio quella cinese di via Paolo Sarpi a Milano, sono parte integrante del tessuto sociale. Gli esercizi commerciali gestiti dagli immigrati regolarmente residenti contribuiscono alla crescita economica e sociale del paese e, soprattutto, l'apertura di tali negozi in orario serale è un valore aggiunto per le città che li ospitano, in quanto fanno sì che le strade rimangano meglio illuminate e ci sia più gente in giro, migliorando di fatto la sicurezza dei quartieri stessi.

Adriana Fenzi


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