Ascanio Celestini è un cantastorie e chi lo conosce lo sa. E a chi, invece, questo raccontatore di professione fosse ancora ignoto, occorrerebbe dire solo questo: Celestini, per vivere- e secondo me non solo considerando l’aspetto economico della questione- narra. Spiega, collega, coinvolge, avvolge, trasmette, condivide.
Ieri 16 Marzo 2022 il narratore romano dava vita alla seconda replica di 6, presso il bel Teatro Vittoria di Roma, dello spettacolo “Museo Pasolini”, storia attorno ad un Poeta - e non su un Poeta- e su un paese che, Celestini dice, è responsabile diretto di una serie di efferatezze tra le quali rientra a pieno titolo l’uccisione dell’intellettuale friulano nato a Bologna.
Il Teatro di Celestini- se così vogliamo definirlo- è un Teatro che necessita di pochi elementi, purché questi siano presenti al più alto livello, perché, in caso contrario, data la natura dei lavori del paroliere capitolino, si rischierebbe di essere travolti da una valanga di lemmi con conseguenze nefaste. E invece, no.
E tali elementi sono uno studio profondo, una capacità di scrittura che denota un‘intelligenza non comune, una memoria elefantiaca - da Guinness dei primati, suppongo –, una tecnica attoriale degna dei grandi narratori e una generosità senza confini.
Il miracolo, con quest’uomo, che diventa quasi sempre complicato etichettare senza sminuirlo, è sempre in agguato.
Infatti, in una replica come quella appena passata, durata circa 2h20’, con un monologo ininterrotto, infarcito di fatti, date, considerazioni e del quale, per un bel po' della sua durata, ci si chiede dove voglia andare a parare e se, considerato titolo e sinossi, si è entrati nel Teatro giusto, ad un certo punto, accade l’impensabile: le fila del discorso si tirano, l’uomo sul palco aumenta i giri del motore- anche se non perde la via e il controllo-, la mente di chi sta seduto in platea si svuota- come se tutto quello ascoltato fino a quel momento fosse servito a preparare ad una rivelazione finale- e si accoglie quella che se non può filosoficamente essere definita come “La Verità” può tranquillamente dirsi la foce fresca e limpida del fiume di parole nelle quali si è nuotato per tutta il tempo precedente.
Provare a riassumere il testo, in un caso come questo, è probabilmente impossibile oltre che controproducente. Dall’attento a Mussolini che poi, sempre secondo Celestini, altro non è che l’omicidio di Anteo Zamboni, al periodo delle stragi che colpì l’Italia fino all’evento di Piazza Fontana, passando per le note biografiche di Pier Paolo Pasolini, si viaggia in lungo e in largo per una strada stracolma di ogni possibile indicazione e nella quale, nonostante ciò, il rischio di smarrirsi è sempre ben presente. Almeno, come già scritto, fino a quando non si incomincia ad intravedere, a mò della terra che gli emigrati agognavano dopo un lunghissimo viaggio per raggiungere la landa americana, un orizzonte che racchiuda, tra le altre cose, l’esperienza della morte dell’uomo che ancora oggi consideriamo il punto di riferimento culturale al quale votarci quando pensiamo di brancolare nel buio.
Lavoro indispensabile quello di Celestini, che, senza retorica, ci fa riflettere sulle dinamiche politiche di un paese che conta(va?) gli anni della E.F. – ossia dell’era fascista.
Come si contano gli anni d.C. (senza connotazione politica questa volta).
Giuseppe Menzo.
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