POI DICE CHE UNO BEVE Di Lucilla Lupaioli

POI DICE CHE UNO BEVE Di Lucilla Lupaioli

Raramente ci si trova, da spettatore, a condividere tutti gli aspetti che compongono un allestimento teatrale. Talvolta è la regia a peccare di qualche lacuna, talvolta gli attori, alcune volte il testo.

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Raramente ci si trova, da spettatore, a condividere tutti gli aspetti che compongono un allestimento teatrale. Talvolta è la regia a peccare di qualche lacuna, talvolta gli attori, alcune volte il testo.

Nel caso di “Poi dice che uno beve” si esce da teatro e si ha la soddisfazione di aver assistito a uno spettacolo di cui si apprezza tutto l’insieme, la saggia dosatura di ogni ingrediente al fine di trasmettere un “prodotto finito” di rara eleganza e contenuto.

A cominciare dal testo, scritto da Lucilla Lupaioli, regista, attrice e drammaturga icastica, la quale ci consegna una storia solo apparentemente irta di luoghi comuni afferenti la comunità gay, ma che si rivela molto più semplicemente costituita da verità, cronaca, fatti oggettivi e reali che vengono raccontati con un linguaggio di immediata fruizione e mai banale. Il perno vincente su cui poggia il testo è proprio la commistione tra una forma espressiva fluida e immediata e un contenuto realistico reso in tutte le sue sfaccettature, comiche e tragiche.

Dal punto di vista registico, la Lupaioli ha sempre privilegiato, nei suoi lavori, l’essenzialità ed è il pregio più potente che le si può riconoscere: nulla è fuori luogo o ridondante. Da segnalare l’apporto aiuto registico del sempre valido ed eclettico Guido Del Vento.

Tutto ciò sarebbe stato lettera morta se non fosse stato presente sulla scena un attore, Alessandro Di Marco, che sulla scena (e anche nella vita quotidiana) prodiga con generosità il suo enorme talento, la sua capacità di ammaliare, di far entrare nella storia permettendone la totale comprensione, non più solo da spettatore, ma di parte in causa. Di Marco interpreta, con disincanto e spontaneità, un uomo di mezza età omosessuale che, nel bel mezzo di una cena in un ristorante, riceve una scatolina nella quale si suppone ci sia un anello di fidanzamento che prelude ad un’imminente richiesta di matrimonio. Questo fatto getta nell’ansia il protagonista, costringendolo ad una fuga precipitosa nella Toilette del ristorante, insieme al suo inseparabile bicchiere, e lì ripercorre tutti i momenti più significativi della sua vita che hanno rappresentato, per lui, un momento di crescita, di cambio, di orgasmo non solo sessuale. Ecco, quindi, che quel luogo insolito, da cui il protagonista Orlando entra ed esce continuamente, si trasforma da toilette di un ristorante a bagno di una casa privata oppure il cesso di una scuola, rimanendo però sempre e comunque il refugium peccatorium in cui egli scarica le sue ansie e la sua eccitazione per le prestazioni occasionali di una dark room, oppure lo sfogo, nel pieno di un dolore luttuoso per la perdita del padre, a causa di una cognata acida e inopportuna oppure ancora la rabbia per gli atti di bullismo che Orlando ha subìto a scuola.

La scenografia, curata dal genio creativo di Nicola Civinini, rispecchia fedelmente e punto per punto l’intenzione registica di evitare facili sensazionalismi, ma di valorizzare, invece, il focus della storia e la capacità affabulatoria dell’attore, proponendo l’Essenziale: un water, un lavandino e una porta. Questo è quanto basta per rappresentare il luogo deputato del racconto: una Toilette. La quale diventa, di volta in volta, la sala da bagno di un ristorante, di una casa privata, di una scuola e così via. Il tutto costruito con l’eleganza tipica del Civinini.

Anche le luci, curate da Umberto Fiore, sono strepitose nella loro essenzialità: a fronte di una scenografia che rappresenta un luogo deputato fissato, la Toilette appunto, le luci si modificano di colore per evidenziare il cambio del luogo ove si trova quella Toilette.

Purtroppo tre sole recite a Roma sono poche per far conoscere e apprezzare un lavoro così originale e ben concepito.

L’augurio più autentico è quello di riprenderlo al più presto, magari nella prossima stagione o in estiva.

Mauro Toscanelli

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