Al Tordinona Di Roma La Lingua Di Agota Kristof

Al Tordinona Di Roma La Lingua Di Agota Kristof

Potremmo bypassare la sua ascendenza, i suoi fratelli, i suoi figli, i suoi mariti, la sua fuga appena 21enne dalla terra natìa, per concentrarci esclusivamente su tutto il resto della sua vita passata

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Sarà in scena ancora oggi, domani 29 aprile e sabato 30, presso il Teatro Tordinona di Roma, lo spettacolo “Lingua Matrigna” - tratto da l’autobiografia “L’analfabeta” di Agota Kristof - di Marinella Anaclerio ed interpretato da Patrizia Labianca. Spettacolo della “Compagnia del Sole” con immagini e grafica a cura di Giuseppe Magrone, la voce narrante di Flavio Albanese e il sostegno alla produzione del “Collettivo Zebu Mat”

Agota Kristof era ungherese ed è diventata una scrittrice dalla imperitura fama mondiale scrivendo in francese. La storia di questa donna, molto sinteticamente, potrebbe essere riassunta così.

Potremmo bypassare la sua ascendenza, i suoi fratelli, i suoi figli, i suoi mariti, la sua fuga appena 21enne dalla terra natìa, per concentrarci esclusivamente su tutto il resto della sua vita passata ad inseguire un nuovo idioma, un nuovo modo di comunicare e di esprimersi, oltre che - questione assolutamente fondamentale nella biografia di questo straordinario personaggio – di leggere, arrivando così dritti al nocciolo della questione: Agota Kristof, nell’arco della sua esistenza, ha travalicato il confine pauroso dell’ignoranza linguistica, riuscendo a ritrovare, grazie allo studio senza sosta di un nuovo linguaggio, parte di un’essenza che si perde inevitabilmente quando ci si trova obbligati a lasciare il proprio panorama di riferimento. Panorama ovviamente da intendersi come l’insieme di tutti quegli elementi – siano essi geografici, culturali, emotivi – dei quali sì è stati nutriti negli anni – atroci, gloriosi ed indispensabili – della formazione.

In questo spettacolo, del quale è importante mettere in evidenza il pazzesco lavoro di incarnazione operato dell’attrice – la Labianca su citata che si assume la responsabilità di far rivivere una delle voci letterarie più importanti del secolo passato –, questa lotta di riconquista dell’identità attraverso le parole – scritte o orali che siano – è primaria. Necessaria. Totalizzante.

In uno spazio impreziosito da pochi oggetti scenici e chiuso dallo “schermo” sul quale passano le semplici ed efficaci proiezioni che accompagnano il racconto, l’attrice che respira Agota Kristof fa sfoggio di tutto quanto il suo mestiere per restituirci il viaggio di una donna che prova a conservare nel tempo, parlando ad un vecchio registratore a cassetta, le sue peregrinazioni fisiche ed emotive e il suo coraggio, la sua ironia, le sue insicurezze, i suoi ricordi, le sue paure mascherate di speranze.

Con la volontà di non essere troppo prolissi nel restituire meramente la trama di uno spettacolo, preferiamo piuttosto concentrarci sulla scelta, tanto comprensibile quanto azzeccata e operata da coloro i quali si sono assunti la responsabilità di tramandare questo racconto, di far recitare l’attrice in un italiano segnato da un’evidente inflessione straniera, a rimarcare l’alterità di una figura che viveva in un luogo diverso da quello dove, oltre ad avere avuto i natali, aveva sviluppato “radici”, “tronco” e “foglie”, avendo imparato a leggere – da figlia dell’unico maestro del paesino nel quale vivevano – già all’età di 4 anni.

Tanto altro – se non , per scelta, molto poco – potrebbe essere aggiunto a questa recensione che invece si avvia alla sua conclusione con un piccolo appunto riguardante la scelta registica di portare avanti, con una coerenza quasi maniacale, la narrazione legando l’attrice all’atto di conversare con il suo apparecchio feticcio di registrazione, facendole correre, in alcuni momenti, il rischio di mancare occasioni di cambi ritmici dei quali non si avverte comunque una vistosa mancanza, data la pienezza con la quale ogni singola parola della storia viene resa, ma che sicuramente avrebbero giovato nell’arco dei 70’ di rappresentazione.

Ad ogni modo, un lavoro lodevole che ha il grandissimo merito di non soccombere alla sua stessa natura parlata e che, anzi, innalza ai massimi livelli il valore, già alto di suo, della koinè come strumento di conoscenza del mondo e di se stessi.

Non mancatelo.

Giuseppe Menzo  

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