L'arte italiana del secondo dopoguerra era caratterizzata da movimenti, gruppi, tendenze artistiche, che hanno portato l'Italia a una inaspettata vitalità, ricca di vicende innovative e contributi teorici, una volontà di totale rottura con il passato, con l'esigenza di rinascita e rinnovamento etico-sociale, un momento fecondo anche per opere che "stupiscano" con messaggi onirici e poetici.
Fabrizio Clerici pittore, scenografo, illustratore, ha dato vita a scenari di architetture oniriche, universi fantastici ricchi di fascino e di rimandi colti. La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma ne celebra il suo talento con una mostra a ridosso del 30ennale della sua morte. Una rassegna forse poco spiegata e difficile da seguire per la mancanza di testi critici e pannelli descrittivi, ma ugualmente fascinosa per le opere in esposizione.
La mostra dal titolo "L'atlante del meraviglioso" a cura di Giulia Tulino, mette in scena cento opere per un sogno non concluso, il viaggio di un'artista raccontato dai suoi lavori e da quelli di artisti, compagni di ideologie e pensiero visionario, come Alberto Savinio, Giorgio de Chirico, Salvador Dalì, Alberto Martini, Pavel Tchelitchew, Leonor Fini, Eros Renzetti, Fabius Von Gugel e molti altri.
È un percorso che inizia con Clerici architetto e illustratore per proseguire con opere di scenografie e pura pittura, intervallati da teche con raffinati disegni, preziosi documenti, lettere e fotografie. Clerici inserisce, nelle sue architetture visionarie, suggestioni di Piranesi e citazioni colte e mitologiche, trasferendo codici figurativi in uno scenario urbano contemporaneo inquieto e introspettivo. La sua formazione da architetto indirizzerà la sua arte verso costruzioni surreali con ispirazione metafisica e l'elemento architettonico diventerà simbolo e centro per una composizione sognante.
Lo spettatore è invitato a perdersi nel tentativo di decifrare rimandi e citazioni. Nel celebre dipinto in mostra "Il Minotauro accusa pubblicamente sua madre", il dipinto ha le sembianze di una navicella spaziale, da una parte ancora in costruzione, palchi aggettanti al palco dove il Minotauro vestito di Rosso incolpa la madre del suo essere terrificante e spregevole, davanti, il labirinto devastato con sagome inermi che si nascondono aspettando il verdetto di morte.
Il minotauro di Clerici incolpa la madre, non il disubbidiente Minosse, ma Pasifae, la madre che lo aveva generato per colpa di un incantesimo di Poseidone, non la salva e non la giustifica ma l'accusa davanti a una platea gremita. Quest'opera appassionò Salvador Dalì.
Il mitologico ha per Clerici, un senso di fatalità, i personaggi ricostruiti nella memoria, vengono deformati dal filtro del tempo e uniformati al volere della corrente surrealista del sogno, mentre le architetture mantengono il sapore manierista.
Dalla pittura si dedica al teatro e in mostra vi è una splendida "Maschera Lunare" del 1951 realizzata per il ballo Beistegui a Palazzo Labia. Accanto anche guanti di pelle argentata, sempre usati per il medesimo ballo, come una foto dell'epoca ci testimonia.
Fabrizio Clerici è una figura così eclettica, da non poter essere facilmente incasellato in una corrente stilistica. Lui si definì pittore del "realismo irreale" e "visionario cartesiano". Forse proprio per la sua inafferrabilità, ha avuto consensi in tutto il mondo dal Moma al Guggenheim di New York, al Centre Pompidou di Parigi al Museo Puskin di Mosca, fino arrivare a Roma nei musei Vaticani e alla Galleria Nazionale che non lo ha mai dimenticato.
Chiara Sticca
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