Fin dalla preistoria, l’uomo ha sempre avuto il bisogno di rendere manifesto il proprio mondo interiore. L’individuo civilizzato, dotato di funzioni mentali più evolute (linguaggio, ragionamento, ecc.), esprime sé stesso attraverso i concetti, le parole ed i ragionamenti. L’arte permette un’espressione diretta ed istintiva di noi stessi, permettendo alle emozioni di travolgerci con tutta la loro veemenza.
L’arte è una fonte di benessere che influisce positivamente su di noi, sul modo che abbiamo di percepire il mondo circostante e ci dona molteplici modalità espressive con cui comunicare ciò che siamo agli altri.
Per l’artista Enrico Rasetschnig, l’arte rappresenta uno strumento prezioso per cercare sé stessi, raccontarsi e lasciare una testimonianza, una traccia di sé nel mondo. Abbraccia, quindi, l’idea di pittura come espressione delle proprie emozioni.
Le parole, per Enrico Rasetschnig, non sono sufficienti a dare forma ai pensieri ed infatti, la pittura diventa il traduttore simultaneo di quella lingua che collega l’utilizzo dei colori da parte dell’artista e lo sguardo del pubblico che li osserva. Questi due linguaggi, alle volte, non carpiscono lo stesso messaggio ma, in fondo, è proprio questo elemento che rende affascinante il produrre arte.
Enrico Rasetschnig, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità e norme comportamentali derivanti dalla sua esperienza, esplora la materia. Proietta sulla tela la sua vita, i suoi sogni, le disillusioni e le frustrazioni, causate dagli stereotipi sociali, culturali e familiari. Vuole suscitare riflessioni in coloro che guardano le sue: ciò che stanno osservando esiste solo lì, in quel dipinto, in quella scultura in cui ha messo a nudo tutto sé stesso. Attraverso l’azione creativa, l’immagine interna diventa immagine esterna, visibile e condivisibile.
Il suo bisogno di produrre opere d’arte scaturisce da una passione irrefrenabile, dall’insoddisfazione vissuta in passato e da una società moderna in cui non riconosce valori e principi simili ai suoi. Quando desideri e bisogni non vengono appagati dalla realtà, nasce in lui l’esigenza di trovare un rimedio positivo e propositivo a tale condizione e la risposta sembra trovarsi sempre nello stesso “non luogo”: l’arte.
Enrico Rasetschnig è nato a Roma il 22 settembre 1953. La sua famiglia paterna, austriaca, è originaria di Klagenfurt in Carinzia, mentre quella materna è italiana: nonna veneta e nonno napoletano, che non hai mai conosciuto. I genitori sono nati a Laurana, un pittoresco paesino sul mare, in Dalmazia, vicino all’ex città portuale italiana di Fiume, oggi Rijeka (Croazia), situata nel golfo del Quarnaro a nord del mare Adriatico. L’infanzia di Enrico è stata influenzata dal contesto culturale mitteleuropeo, segnato dalle esperienze, drammatiche, della guerra e dall’esodo giuliano-dalmata ma anche dalle esperienze artistiche famigliari. L’artista ancor prima d’iniziare a camminare era circondato dall’arte in tutte le sue forme: i dipinti della nonna materna, Augusta Baumgartner, la sua musica al pianoforte, le melodie suonate dal nonno con il violino e i dipinti ad olio che suo padre creava per pura passione e zelo per l’arte. In casa, Enrico Rasetschnig parlava il dialetto istro-Veneto, più raramente il tedesco. Ancora oggi lo parla in famiglia. Il dialetto romano lo impara a scuola da compagni e amici. Tutto questo, sicuramente, ha influito in maniera determinante nel suo odierno “non sentirsi romano” ma “immigrato di seconda generazione”. In tenera età, l’artista ha dovuto affrontare seri problemi di salute: l’asma, da cui era affetto, lo forzava a passare molto tempo in casa da solo, e una brutta polmonite che aveva contratto quando aveva cinque anni lo costrinse a dover affrontare il primo anno della sua vita scolastica come privatista. L’unica fonte di svago di un giovanissimo Enrico Rasetschnig, circondato dall’arte ma limitato dal suo stesso corpo, era disegnare e colorare. Il suo animo artistico trovava, nell’espressione grafica e nell’utilizzo dei colori, un’apertura nei confronti del mondo esterno e una costruzione creativa del suo mondo interiore. Enrico Rasetschnig riusciva a soddisfare in modo del tutto spontaneo, ciò che gli era precluso nella vita reale. Fu proprio da questo momento che la pittura iniziò a diventare la sua ragion d’essere. Durante le lunghe giornate che passava in casa, amava sfogliare le pubblicazioni d’arte che suo padre collezionava. Per tenere vivo il sacro fuoco dell’arte, Enrico Rasetschnig ha potuto contare anche sul sostegno della professoressa di arte la quale ha sempre riconosciuto in lui un talento. Probabilmente, se fosse stata viva la sua nonna materna, Augusta, sarebbe stato più facile per Enrico far valere le sue ragioni e seguire un percorso di formazione artistica. L’artista, dunque, utilizza l’arte pittorica come rimedio alle difficoltà della vita come massima rappresentazione di tutto ciò che è bello e vivo. Dalla metà degli anni Sessanta, iniziò il passaggio dalla carta, matite e pastelli alla tela e ai pennelli. Suo padre, ormai tranquillizzato dal percorso liceale che suo figlio aveva intrapreso, decise di assecondare quello che secondo lui doveva rimanere un hobby, dandogli le prime nozioni sui colori a olio e condividendo delle sessioni pittoriche en plein air. Mentre il padre credeva che in questo modo avrebbe ridimensionato la passione del figlio, al contrario la rafforzò in maniera significativa. Ogni uomo è inscindibilmente collegato al contesto storico in cui si trova e così, per Enrico Rasetschnig, l’era rivoluzionaria del ’68 influenzò enormemente il modo in cui viveva il suo essere artista. Non si limitò solo a maneggiare tele e pennelli ma si avvicinò sempre di più ad universo fatto di pentagrammi e note. La musica diventerà quindi un elemento importante nella crescita personale dell’artista. Grande fan del rock e del pop di quegli anni, soprattutto dei Beatles, impara a suonare il pianoforte e la chitarra. La musica diventa una parte importante della sua vita, un’altra possibilità di esprimere sé stesso e le sue emozioni. Oggi suona in una Band Blues. Il braccio di ferro tra il volere del padre e il suo, si fece sempre più difficile. Dopo aver conseguito la maturità classica, pur di scappare dalla facoltà d’ingegneria in cui avrebbe dovuto proseguire la propria carriera accademica, decise di fare il servizio militare come ufficiale, mettendo così fine alle discussioni in famiglia, sul suo futuro. L’essere risultato tra i primi del corso allievi ufficiali, gli aveva dato la possibilità di scegliere la destinazione per il suo primo comando. Ovviamente, l’artista non scelse una città a caso ma si diresse verso la culla del Rinascimento, Firenze. Questa città lo rendeva vivo: respirava arte in ogni angolo. Durante la sua esperienza fiorentina, amava fermarsi a guardare gli studenti dell’Accademia delle Belle Arti, mentre disegnavano con matite e carboncini le sculture della Loggia della Signoria, a destra del Palazzo Vecchio e accanto agli Uffizi. In quei momenti sentiva la sua anima accendersi di emozioni talmente grandi da assorbirlo completamente. L’arte era davvero la sua vita. Ritornato dal militare, riesce finalmente a coniugare tutte le sfumature della vita di uomo comune con quella dell’essere artista. Si sposa, diventa padre e nel contempo, grazie al suo lavoro al di fuori dell’ambito artistico, viaggia per tutti i continenti.
Il 2015 è stato un anno spartiacque nella vita dell’artista. Dopo la proposta di pensionamento anticipato, capisce che finalmente tutte le variabili del fato giocano a suo favore: può dedicarsi completamente al suo primo grande amore, la pittura. Prende in affitto uno studio in cui poter dare libero sfogo alla sua creatività.
Ad oggi, nel giro di pochi anni, Enrico Rasetschnig ha realizzato più di duecento opere e si dimostra sempre più interessato a varcare anche la soglia del mondo della scultura.
Articolo di Federica Fabrizi
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