Tra le molteplici tradizioni tramandate nei secoli e ancora in essere, il carnevale è certamente una di queste. Affonda radici profonde che troviamo scavando nel Paleolitico Superiore, da cui sono emerse le più antiche documentazioni, che testimoniano le prime maschere, utilizzate non propriamente come le intendiamo noi oggi.
Antichi Egizi, Aztechi e Inca, utilizzavano le maschere come oggetti di culto per attribuire maggior potere divino ai celebranti delle cerimonie religiose, che indossandole, impersonavano le divinità nascondendo la loro vera identità.
Nelle antiche civiltà venivano inoltre associate a rituali funebri, per proteggere i morti nell’aldilà e a protezione dei vivi dai defunti; maschere d'oro sul volto dei morti micenei, tutte diverse come fossero ritratti, con baffi o barba, con fattezze più giovani e meno, mentre, maschere di cera con il calco dei propri antenati dipartiti, per la nobiltà romana, che aveva esclusivo per sé, il diritto e l'onore di poterle conservare e indossare durante le solenni celebrazioni.
Come oggi anche allora, le maschere rappresentavano e trasformavano, fino a far sbocciare i più datati carnevali intorno ai templi degli dei: alla dea Iside erano dedicati i festeggiamenti in maschera nell'antico Egitto, insolite e temporanee gozzoviglie per onorare invece il dio Dioniso nell'antica Grecia, che era solito venire rappresentato sui vasi con una maschera sul volto, e il desio dell'inverno nell'antica Roma, veniva salutato tra balli e canti, giochi, burle, scambio di doni e mascheramenti, durante le celebrazioni religiose delle Saturnali, non trascurabile occasione che serviva a distendere le tensioni tra le diverse classi sociali, e lo faceva goliardicamente ribaltando per gioco i ruoli, i padroni diventavano servitori e i servi venivano serviti dai padroni.
Gli storici sgomitano in mezzo alla storia, perché affermare con esattezza dove e quando sia davvero nato il carnevale non è impresa semplice, ma sappiamo che nel 10.000 a.C., uomini e donne si dipingevano il corpo e il volto abbandonandosi a festeggiamenti primitivi e orgiastici per dare il benvenuto alla primavera, e che gli eccessi hanno nei secoli caratterizzato questo genere di "carnevali", tanto da venire infine proibiti in Gallia dalla Roma Papalina, per essere riabilitati poi, sotto la tolleranza di Papa Paolo II, che introdusse addirittura il ballo in maschera.
Nel XVI secolo, agli inizi del ‘500, nacquero le maschere della commedia dell'arte, un genere teatrale che pescava nella tradizione di Plauto e Terenzio per dar vita sulla scena a sbalorditivi equivoci, rocambolesche capriole, e sberleffi talvolta più, talvolta meno volgari, che si caratterizzava per l'assenza di un copione e l'uso invece del cosiddetto "canovaccio"; rimase popolare fino alla metà del XVIII secolo, riscuotendo grande successo, dopo la seconda metà del 500 dall'Italia permeò in Francia con i Comèdiens du Roi (Commedianti del Re), e viaggiando nello spazio e nel tempo, ha tramandato fino ad oggi le sue maschere simbolo, ancora in uso nei più tradizionali carnevali, tra le più note : Arlecchino, Pulcinella, Colombina e Pantalone, maschere di capitani, di servi e di padroni.
Se questa ostentata libertà di espressione, estremizzazione dell’arte, ricercata frivolezza o saggia follia, ci è concessa, nella tradizione latina troviamo risposte: Seneca e Sant’Agostino esprimevano il comune pensiero che una volta all’anno fosse lecito impazzire, e proverbiale lo rese il Medioevo, Orazio con il suo “dulce est desipere in loco” (è cosa dolce ammattire a tempo opportuno), lo tinse di romanticismo preservandone il rigore.
Insomma, il carnevale, un’allegra poesia dalle tinte eccentriche per liberarsi degli obblighi sociali che incatenano al proprio ruolo pubblico, ma se per solennizzare il carnevale bisogna saper dare un po' i numeri, servono quelli per non dimenticarne le date sul calendario, dunque contando dal giorno di Pasqua, delle nove domeniche che la precedono, è la prima a dare il via al tempo circoscritto dei travestimenti e dei simpatici sberleffi, che raggiungono il loro fasto il Giovedì cosiddetto Grasso, per tramontare poi con il Martedì, Grasso pure lui, incenerito dal Mercoledì che lo segue, inizio della Quaresima.
Sono numerosissime le piazze in festa in Italia per il carnevale contemporaneo: Venezia, Viareggio, Roma, Verona, Putignano, Fano, Martignano, il carnevale Ambrosiano di Milano, il carnevale di Ladino in Val di Fassa, Montemarano in Campania. Un dedalo ideologicamente itinerante che si intreccia tra carri sfarzosi, balli caratteristici, esibizioni circensi, pietanze e dolci tipici: frappe, zeppole, castagnole, frittelle.
Alla fine di tutto non possiamo che osservare i contrapposti di quest'enfatizzazione dell'arte del camuffamento, che pone in qualche modo ironici interrogativi sul se sia meglio una bella fandonia o una brutta verità. Quante volte ci siamo trovati a dover scegliere tra una delle due, quale di loro dover sperare di ricevere in visita, quale abbracciare, informi eppure misurabili, a volte grandi, a volte piccole, leggere o più pesanti; ma se la verità spesso si presenta sfacciata nella sua naturale nudità, la mistificazione richiede di gran lunga una più elaborata sartoria, e il carnevale, probabilmente, è la più vezzosa delle bugie.
Di Salomè da Silva
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