Vito Palmieri

Mi interessa l'aspetto romantico della vicenda perché il cinema è emozione; è essere trasportati per due ore in un'altra storia. Il regista presenta Il giorno più bello

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In Puglia due giovani, dopo una storia di anni, decidono di sposarsi. È sempre un passo difficile che ridiscute i rapporti familiari. Ma nel caso dei protagonisti del nuovo film di Vito Palmieri è ancora più intricato perché i due, che vogliono solo un tradizionale matrimonio del sud, sono entrambi uomini. Da qui prende il via Il giorno più bello una rocambolesca commedia destinata ad emozionare e divertire.

Dopo tanti riconoscimenti per i suoi corti, dedicati principalmente a storie di giovani e di bambini (nomina ai David di Donatello per Tana, liberi tutti! 2006, premio miglior corto al Festival di Toronto e nomina al Festival di Berlino per Matilde 2013, vittoria del Gran premio della giuria a Shanghai per See you in Texas 2016), il regista pugliese approda al grande schermo.

Il film è in fase di montaggio e uscirà probabilmente all’inizio del prossimo anno. Vito Palmieri ci racconta il suo percorso, i suoi corti con i bambini, l’ultimo film e, in anteprima, Il giorno più bello.

Buongiorno Vito, benvenuto su Unfolding Roma grazie per aver accettato l’intervista.

Sono appena finite le riprese de Il giorno più bello. Ci parli di questo progetto?

Grazie a voi! Il film affronta la storia di due giovani che vogliono sposarsi e devono affrontare i problemi che la loro scelta può comportare alle rispettive famiglie. La vicenda accomuna tante persone, ma in questo caso i protagonisti sono entrambi ragazzi, Andrea e Filippo. Il loro amore dovrà prevalere sulle difficoltà. Curiosamente la famiglia tipica del Sud accetterà la situazione, mentre la colta famiglia borghese dell’altro sarà raggirata e ingannata per non conoscere l’identità della “sposa”. La situazione degenera in una serie di sotterfugi e tensioni che sfocia nel matrimonio dove si svela la realtà dei fatti. Si tratta di una commedia che tratta di un tema caldo e vivace raccontato con il tono leggero e ironico della commedia.

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Come è nato questo film? Nasce da un’esperienza personale?

No, in realtà le tre produzioni Altre Storie, Clemart e RaiCinema mi hanno proposto la sceneggiatura di Maddalena Ravagli, Leonardo Fasoli e Enrico Lamanna e io ho deciso di adattarla alla mia chiave stilistica vicina a questo tipo di racconto. Si tratta di una vicenda di fantasia, ma di grande attualità. Ho accettato di realizzarla perché ricca di personaggi e di storie frizzanti che mi hanno affascinato sia come regista che come possibile spettatore. Mi ha conquistato subito il fatto che la trama potesse essere un pretesto per parlare dei rapporti interpersonali e per confrontare famiglie di ceti sociali diversi.

Si tratta anche di un film sugli inganni e le relazioni umane? Voglio dire gli intrecci ingarbugliati sono tipici della commedia, ma sono uno strumento che mostra una realtà fatta di menzogne e detti e non detti

Esatto. Come spiegavo prima quello che mi interessa è in primis il rapporto di coppia e il binomio verità/menzogna che appartiene a tutte le famiglie a prescindere dall’orientamento sessuale dei componenti. E poi si tratta di un pretesto per raccontare i rapporti interpersonali. Che cosa significa entrare nella vita di famiglie italiane di ceti diversi? Come è la loro vita quotidiana? Mi interessa fare uno spaccato della famiglia italiana di oggi con un confronto anche tra classi sociali diverse.

Il tema è di grande attualità: l’approvazione delle unioni civili è certo un compromesso rispetto al matrimonio. È tua intenzione portare coscienza di questo fatto?

Non del tutto. È il momento giusto per far emergere questa esigenza, questo sentimento di incompletezza presente e volevo che il cinema parlasse di questo tema di attualità così importante, ma il mio intento non è direttamente politico perché non mi appartiene. La questione è sociale, ma più che fare un dramma politico, voglio leggere il tema nella chiave leggera e ironica che mi contraddistingue.

In generale cosa pensi delle unioni civili in Italia?

Penso sia un’ottima cosa finalmente arrivata. Era assurdo che l’Italia non avesse questo istituto. È stata una buona decisione, anche se la forma forse poteva essere realizzata meglio. Non mi sono soffermato troppo sul dibattito politico intercorso: considera che quando si gira un film si vive solo per quello e quindi sono stato molto chiuso nel racconto cinematografico, cosa che preferisco di gran lunga rispetto agli scontri parlamentari. Non volevo trattare il punto di vista politico. A me interessa l’aspetto romantico della vicenda più.

Dopo anni di lavoro a Bologna hai deciso di girare nella tua terra natale, la Puglia, in un’ambientazione che si prospetta di grande bellezza. È un omaggio alla tua terra?

Ho sempre pensato di realizzare un film in Puglia. Inoltre questa regione offre un sostegno per il cinema italiano costituito dalla Apulia Film Commission. Mi piaceva che questa storia fosse affrontata in un contesto del Sud Italia. E poi so cosa significa organizzare un matrimonio lì e l’importanza data ai preparativi: c’è tanta tensione, attesa e gli stessi invitati sono spesso protagonisti quanto gli sposi. L’ambientazione nella bella masseria dove si svolge la scena del matrimonio è davvero perfetta per questo film. Ci sono, insomma, vari elementi che mi hanno portato a girare in Puglia.

Dove è stato girato esattamente?

Ad Alberobello, Locorotondo e Martina Franca in Valle d’Itria. Sono paesi piccoli, diversi tra loro anche paesaggisticamente, caratteristica che ci ha permesso di girare con sfondi naturali diversi nell’arco di pochi chilometri.

Come siete stati accolti dalle persone del luogo?

Per quanto la Puglia si stia abituando a vedersi sede di set, pensa a Özpetec, questi si concentrano di più in altre zone, come la città di Bari e il Salento. In questa valle si percepisce tanto la novità. La gente ci ha accolto bene. Essendo un film corale abbiamo coinvolto molte comparse, quindi le persone hanno partecipato direttamente ed hanno avuto un ruolo importante. Ho conosciuto e incontrato tanta gente.

Il cinema ha affrontato spesso questo tema, basti pensare ad Özpetek per non citare che un maestro, ma in Italia mancava ancora un film sul matrimonio. Nella commedia è, però, facile cadere in stereotipi e cliché. Ho letto che il film «strizza l’occhio a Il Vizietto e a Priscilla»: il primo è l’emblema del cliché, il secondo affronta il travestitismo. È così? In che senso ti sei confrontato con queste opere? Hai tenuto presente altri riferimenti?

Guarda, questo riguarda solo l’aspetto della leggerezza e ironia che caratterizza tali film. Ho eliminato ed evitato i cliché in tutte le fasi dalla rielaborazione della sceneggiatura, durante le riprese, al lavoro con gli attori, al montaggio. Voglio raccontare la storia di due uomini che si amano come tutte le coppie. Il riferimento è dovuto al fatto che siano film corali e per la messinscena, ma è uno stile di cinema diverso rispetto a quello che sto facendo più vicino alla commedia degli equivoci classica. Sebbene sia un appassionato di cinema, quando giro preferisco non avere dei riferimenti a film antecedenti per non copiare e per non affezionarmi troppo ai predecessori. Dai due citati posso dire che mi sono portato dietro la leggerezza.

Ti aspetti polemiche?

Spero di no. Cioè in realtà non ci ho nemmeno pensato. Perché dovrebbero? Polemiche ci sono sempre in ogni lavoro e su ogni tema. Io penso di fare un buon film e un buon racconto. Dovrei avere paura solo di polemiche fatte sul lavoro non certo sul tema. Il mio intento è emozionare con la storia non far discutere.

È il tuo primo approdo al lungometraggio. Fino ad ora, infatti, hai lavorato principalmente sul corto. Hai trovato molte differenze nell’approccio al lavoro?

Bhè è molto diverso perché finalmente ho potuto operare in una troupe di quaranta persone e un budget diverso. Avere una bella troupe con dei collaboratori bravi fa tanto, perché ti lascia libero di pensare alla regia e ci si può affidare alle scelte di altri professionisti, lo scenografo, per esempio, o il direttore della fotografia. In lavori di dimensioni più ridotte il regista si deve occupare anche di altre cose, invece in questo ho potuto affidarmi a colleghi e ho potuto lavorare di più con gli attori, priorità in ogni mio lavoro, ma che questo film mi ha lasciato libero di fare maggiormente.

Avete scelto attori già noti al grande pubblico come Alessio Vassallo, il giovane Montalbano, e Michele Venitucci

Mi sono confrontato con la produzione, ma sono attori di cui conoscevo bene il percorso, anche se non li avevo incontrati personalmente. Ho fatto diversi casting e c’è stata una delicata fase di selezione dei ruoli. Questo, però, è un film in cui anche i ruoli secondari sono molto importanti perché arricchiscono la storia.

Ti occupi di cinema già da anni, di fatto è la tua vita. Quali soddisfazioni ti ha dato sino ad ora?

L’ultima è la vittoria del Gran Premio della giuria a Shangai con See you in Texas ed è stata una grande emozione. Ho vinto molti premi che sono soddisfazioni. Il cortometraggio Tana libera tutti ha vinto 50 premi e la candidatura al David di Donatello (2006); a Toronto ho vinto la sezione bambini con Matilde. Se devo sceglierne uno più significativo è stata la selezione di Matilde al festival di Berlino proprio perché è stato scelto in uno dei concorsi più importanti al mondo che mi ha dato anche la possibilità di farne altri. E poi, certo, a Shangai perché per la prima volta ho vinto con un lavoro lungo e non con un corto.

Hai lavorato molto con i bambini. Perché? È una scelta artistica precisa?

Ho iniziato con laboratori nelle scuole. Nel 2006 mi è stato proposto Tana libera tutti che ha avuto un certo successo. Da qui mi sono specializzato nel cinema con e per bambini. Vi sono, quindi, approdato un po’ per caso e poi mi ha affascinato. All’estero esiste un vero e proprio mercato di cinema con e per bambini. Anche a Berlino ho vinto nella sezione Generation ovvero cinema generazionale. Penso che anche l’ultimo lavoro, Il giorno più bello, sia in realtà generazionale perché è una scelta presa da giovani. Cerco di portare anche in questo film quello che ho fatto prima con uno stile generazionale.

Come è lavorare con i bambini?

Molto interessante perché non sono solo attori, ma partecipano alla creazione dei contenuti, delle storie, del testo e delle sceneggiature. Facilitano il lavoro mostrando il loro punto di vista. Anna bello sguardo (2012), tributo a Lucio Dalla, di fatto è stato scritto con loro. Non solo lavoro con loro, ma scrivo con loro. È una cosa rigenerante e nuova: hanno un modo di pensare diverso da quello adulto e un’intelligenza con una logica propria che mi ha sempre stupito. Le loro scelte sono davvero sorprendenti. Il momento dei casting è fondamentale in questo tipo di cinema perché bisogna capire se hanno la capacità di affrontare l’esperienza del set. L’intelligenza fanciullesca mi ha colpito ogni volta che ho lavorato con loro.

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E ti sei occupato spesso di temi sociali.  Il cinema è un mezzo privilegiato per parlare al pubblico anche di temi sociali e difficili da affrontare?

Certamente. Penso che il cinema sia sempre stato importante e fondamentale per raccontare il contesto sociale contemporaneo. Internet ci permette di vedere in diretta tutto ciò che succede e avere formati brevi che ne facilitano la fruizione. Per quanto mi riguarda Il cinema è l’unico modo che ho per riflettere sul contesto contemporaneo.

Che cosa è il cinema per te?

Sono dell’idea che il cinema sia svago e divertimento. È staccare per due ore dalla realtà. In qualsiasi genere, ciò che è importante è rapire lo spettatore per due ore. È emozionare e lasciarsi trasportare per poche ore in un’altra storia.

Hai appena presentato See you in Texas.

See you in Texas è un docufilm uscito a metà giugno. Narra di due giovani ventenni che hanno i loro svaghi (discoteche e simili…), ma che fanno un lavoro particolare per la loro età, sono cioè due allevatori di maiali. È una storia vera narrata con un linguaggio documentaristico, ma ha degli elementi di finzione. Un amico mi ha chiamato, ho conosciuto questi ragazzi, ho scritto una bozza ed è nato il film con una troupe limitata. Ora sta girando nei festival, poi spero uscirà nelle sale.

Progetti per il futuro? Sogni nel cassetto?

Per ora sono davvero molto concentrato sul montaggio di questo film. Poi ci sono un altro paio di progetti da valutare, ma il film è la priorità ora!

Michele Cella

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