Ha preso il via in un clima di grande attesa e soprattutto con vasta partecipazione la trentunesima edizione del Salone del Libro di Torino, nella consueta cornice del Lingotto. Giovedì 10 il taglio del nastro in una gremita Sala Gialla, alla presenza di Fico e Casellati, presidenti di Camera e Senato. L'edizione 2018 è partita tra le più rosee aspettattive, con molta gente in coda sin dalle prime ore del mattino e la soddisfazione del suo direttore, Nicola Lagioia: "Mi emoziona vedere le code all'ingresso e la partecipazione della gente".
In un paese sempre meno incline alla lettura, l'appuntamento del Salone resta sempre un must. Quest'anno poi, l'eco di una gradita novità annunciata al "Corriere della sera" lo scorso ottobre: il ritorno della Mondadori, dopo l'assenza dell'edizione passata. Al Salone comunque sono rappresentati tutti: grandi e piccoli editori, con i temi più trasversali possibili. Narrativa, viaggi, storia, e ampi spazi per i più giovani con la conferma del BookVillage.
I tormenti per il fallimento della Fondazione del Libro, organizzatrice dell'evento sino a questo momento, non hanno scalfito l'entusiasmo: il futuro del Salone non è in pericolo, e dall'edizione 2019 verrà costituito un nuovo ente che si occuperà dell'organizzazione come confermato dal sindaco Appendino. Tanti gli appuntamenti in cartello nei cinque padiglioni della Fiera: la riscossa delle librerie indipendenti negli USA, la figura del librario, gli scritti di Primo Levi e la presenza di Dori Ghezzi a raccontare la vita del grande Fabrizio De André e Eduard Limonov, poeta e scrittore russo che mette piede in Occidente dopo vent'anni.
Detto delle virtù, occorre però anche aprire un capitolo a parte su cosa non sta funzionando. Il Salone, già minato dalla sopracitata questione della Fondazione del Libro, incassa anche la grana del "quarto padiglione". Uno spazio espositivo messo in piedi alla rinfusa con un tendone bianco non organico al resto del Salone, in cui sono stati inseriti gli stand di piccoli editori furenti con l'organizzazione.
Abbiamo avvicinato Alessandro Mazzi, direttore della Jona Editore, una delle case editrici finite "in castigo": "Ci è arrivata una mail che diceva che non eravamo più ammessi al Salone, dopo aver iscritto e pagato nei tempi. Quando si organizza una cosa, perché non fare un numero chiuso di iscrizioni e avvertire nel caso si liberi qualche posto? Alla fine ci dicono che hanno creato un padiglione, ma, senza dover pensar male, è molto raffazzonato. Sembra che ci sia il Salone del Libro e poi una parte non organica. Tra l'altro, accanto a noi, c'è il caffè letterario. La gente che fa? Vede il caffè letterario e poi torna indietro. Avevano promesso di sistemare qualcosa, ma ancora non hanno fatto nulla. Esci dal mondo Salone e non sai dove finisci se vieni qua. Se ci sono i piccoli, la gente va e guarda gli stand delle grandi catene. Viceversa, se non ci sono loro, la gente va a vedere i piccoli. Un paradosso italico. Secondo me il Salone ha un senso per i piccoli editori soprattutto". Piccoli editori utili quando ce n'è bisogno? "Sì, quando non vai ti fanno la corte. Eppure questi stand costano come come gli altri, ma di là vanno un milione di persone e qui invece mille".
Stefano Ravaglia
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