UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA

UNA GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA

Un quadrato di luce, perfettamente sagomato, proiettato dall’alto. Dentro e fuori il cono di luce tenta di entrare il protagonista in un alternarsi, appunto, di fuori e dentro.

stampa articolo Scarica pdf


Un quadrato di luce, perfettamente sagomato, proiettato dall’alto. Dentro e fuori il cono di luce tenta di entrare il protagonista in un alternarsi, appunto, di fuori e dentro. Maglietta dolcevita scura, pantaloni grigi a zampa d’elefante da cui fuoriescono due timidi piedini rivestiti da scarpette da danzatore: già da questa mise l’impatto visivo restituito è quello di un animale. Zampe larghe e piedi minuscoli. A un tratto si spegne quel quadrato di luce calato dall’alto e se ne accende un altro pochi metri più in là. E così via in un crescendo vorticoso di ritmo. E ogni volta Gregor, il protagonista, cerca di interloquire con i diversi fasci di luce, entrandovi e uscendovi. In realtà egli sta provando, sotto gli occhi invisibili del coreografo, i movimenti di una coreografia che dovrà debuttare a breve. Tutt’attorno rumori, suoni, tic e tac, che sembrano sollecitati da Gregor, ma in realtà non sono altro che il riflesso della sua mente. Finalmente si sente il coreografo parlare fuori campo, ammonendolo sulla scorrettezza di alcuni passi. E allora l’ossessione di Gregor lo spinge a ripetere nuovamente e interamente la coreografia facendo sempre meglio per assecondare il regista/coreografo. Al termine della prova, Gregor si reca a casa; un ambiente ipertecnologico dove l’uso degli oggetti (e i relativi rumori, suoni, tic e tac) è sollecitato e talvolta prodotto dalla maestria dello stesso Attore.Nel suo ambiente domestico Gregor si relaziona con la tecnologia, con i suoi tic e i gesti ossessivamente e instancabilmente ripetuti dall’inizio alla fine dello spettacolo, perché lui è maniacale nel suo lavoro, nel suo quotidiano, nei suoi rapporti con il padre, con la fidanzata e con la psicologa che lo segue (figure di cui si ascolta solo la voce fuori scena). Il perfetto uomo che non deve deludere nessuno e si massacra pur di raggiungere i suoi obiettivi. Il richiamo alle fonti di ispirazione kafkiana (“Lettere al padre” e “La Metamorfosi”) raggiunge il culmine in due momenti: quando Gregor accusa il padre di avergli detto che somigliava ad uno scarafaggio la prima volta che l’ha visto danzare, nonché quando chiede al coreografo se il loro lavoro è importante per l’Umanità.Finalmente la coreografia provata e riprovata viene messa in scena ma a costo di enormi sacrifici da parte del protagonista, il quale si rende conto, nell’ultima parte dello spettacolo, dove le voci fuori scena si accavallano tra di loro insieme ai rumori a ai suoni del mondo, che forse non potrà mai accontentare tutta l’Umanità cercandone ossessivamente il consenso.Ed è in quel momento che scatta qualcosa dentro di lui che lo porterà all’epilogo della storia.In questo emozionante spettacolo vi è tutto Kafka (le relazioni sociali/familiari che sono causa e conseguenza di conflitti interiori, il rapporto con la macchina e la tecnologia, la compulsione fisica e mentale) e, soprattutto, l’intera Scuola di Eugenio Barba, il quale, partendo dall’assunto che non vi può essere movimento corporeo se non sollecitato da un’autentica emozione interiore affinché sia credibile, ha addirittura prodotto una triangolazione perfetta tra i movimenti ossessivi del personaggio e i rumori/suoni (sia del suo vissuto interiore che degli oggetti in scena).La regia e la drammaturgia di questo immenso lavoro è stata condivisa da Barba, dall’Attore Lorenzo Gleijeses e da Julia Varley, nell’obiettivo di rendere contemporaneo ciò che di eterno è già insito nei racconti di Kafka: il malessere dell’Uomo moderno e la complessità di relazionarsi con il mondo e le cose esterne.

Merita, infine, un elogio assoluto Lorenzo Gleijeses che, senza sbavature ed eccessi, riesce a rappresentare la continua interazione tra il se stesso più nascosto (sviscerato e “mostrato” senza pudore al pubblico) e le sollecitazioni esterne.Un raro esempio di come l’Attore diventi padrone assoluto della scena, del suo corpo, della sua Parola, del pubblico.

Articolo di Mauro Toscanelli

© Riproduzione riservata