Ciro De Luca

Credo che chi faccia questo lavoro dovrebbe, ogni sera, esaminare tutto quello che ha fatto durante la giornata, per trovare gli errori che ha commesso ed evitarli il giorno successivo. Informare è una responsabiltà, non un gioco.

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Buongiorno, abbiamo il piacere di intervistare il fotoreporter campano Ciro De Luca, con cui parleremo del mondo della fotografia, quella sportiva, e delle problematiche che questa professione sta vivendo in questi anni.

Buongiorno Ciro, una breve presentazione per i nostri lettori?

Dei miei 58 anni, 40 sono passati a braccetto con la fotografia. A 18 anni, la curiosità per la fotografia mi ha spinto all’interno di un laboratorio fotografico e dopo un pò di gavetta, passata a sviluppare foto altrui, ho iniziato a fotografare, specializzandomi su quelli che oggi sono considerati sport minori, ma che, all'epoca, avevano al seguito molta stampa specializzata che, contrariamente ad oggi, pagava le foto. Verso la fine degli anni 80, ho iniziato a collaborare con uno dei più importanti fotografi di calcio napoletani e avere cosi la fortuna di cominciare a calpestare l’erba del San Paolo tricolore. Poi la crescita e l’autonomia professionale: una piccola agenzia fotografica fondata con un gruppo di colleghi che ben presto, però, diventò un riferimento per alcune testate napoletane e italiane. Dal 2007, collaboro con una delle principali agenzie di stampa internazionali riuscendo, cosi, oltre a coprire importanti eventi sportivi e no, anche a vedere le mie foto pubblicate sui maggiori giornali mondiali

Come hai vissuto il lockdown e quanto ti sono mancati i campi di calcio ?

Il lockdown per me è stato il girovagare per città, raccontando di strade e luoghi svuotati, la natura che riprendere il sopravvento. il dramma sociale degli ultimi. Per mia scelta ho deciso di non raccontare la malattia dall'interno, quindi niente ospedali, niente cimiteri, solo la triste realtà del distacco degli ammalati dai familiari. I campi di calcio… confesso non mi sono mancati.

il premier olandese Rutter ha dichiarato: “Spero che la prossima volta l'italia sia in grado di rispondere a una crisi da sola; il recovery fund? No a contributi a fondo perduto. vogliamo che ci siano solo prestiti, anche quelli sono aiuti. Insistiamo anche perché ci si concentri sull'aumento della competitività." Come giudichi l’operato del governo e come sta procedendo la ripartenza?

Devo dire di non aver invidiato i nostri governanti, in una situazione del tutto nuova come questa, dove non c’erano dei precedenti se non nelle lontane epidemie di qualche secolo fa. Chi aveva la responsabilità di decidere è andato a braccio, commettendo errori, provando a correggerli, assumendosi responsabilità. La sensazione del “ci stiamo provando” mi arrivava e questo l’ho giudicato positivamente. Poi credo che nessun politico possedeva o possieda il cilindro magico dal quale tirare fuori la soluzione che poteva mettere d’accordo economia e salute e le varie scelte attuate in diverse nazioni hanno dimostrato che qualunque opzione venisse adottata comportava pro e contro. Per quanto riguarda la ripartenza, stringiamo i denti, costringiamoci ad essere migliori per far tesoro di questa avventura. I nostri genitori sono riusciti a cavarsela dalla fame e dalle distruzione fisica delle guerre, impariamo dai loro i sacrifici e un domani ci sarà anche per noi.

Oggi, più che mai, l'avverbio "definitivamente" ha perso sostanza e significato lasciando spazio all'incertezza come filo conduttore della vita di ciascuno da Nord a Sud e in tutti gli "angoli" del mondo. Collegando questa parola al mondo della fotografia, che riflessioni ti vengono in mente?

Oserei dire che “definitivamente” è morta l’attitudine a riconoscere una fotografia ben fatta da un scatto colorato. Le tecnologie moderne hanno fatto sì che il nostro mondo fosse inondato da scatti, relegando la fotografia in un angolo. È il lavoro di fotografo che viene sempre meno riconosciuto. Non scendo nell’analisi di quello che è il malcostume Italiano dove tutti siamo fotografi, ma questo ha come diretta conseguenza il non riconoscimento della professionalità. La foto viene vista come un hobby non più come un lavoro.

Secondo l'ultima indagine Euromedia Research, il 62,5% degli italiani ha paura, in generale, per il proprio futuro, ma soprattutto per il proprio benessere. Una preoccupazione profonda che traccia un legame stretto tra la salute e la propria situazione economica. Infatti, se il 65,9% ha ancora paura del contagio, il 61,2% si dichiara pessimista per la propria situazione finanziaria; bisogna smettere di avere paura? Bisogna imboccarsi le maniche e ricominciare a vivere in maniera normale?

Certo che sì, bisogna scrollarsi di dosso le paure, riprendere dove è possibile tutte le normali attività, ma ricordandoci che il “mostro” è ancora lì fuori e che basta poco per tenerlo lontano dalle nostre vite, ma basta poco anche a farlo entrare.

Da Fregene a Ostia, da Sabaudia a Capalbio e, ancora, da Napoli alla Versilia, l'estate è completamente senza regole. Parcheggi stracolmi, folle agli aperitivi, resse nei bar, code nelle principali strade di collegamento; è questa la fotografia reale delle spiagge nella prima estate ai tempi del Coronavirus. Condanni questi comportamenti Indisciplinati? Auspichi l’intervento delle forze dell‘ordine per evitare questi comportamenti?

Assolutamente no, anche perchè non servirebbe a niente. Se non c’è coscienza da parte della gente, l’intervento delle forze dell’ordine è fine a se stesso, devi sperare nel buon senso della popolazione. E poi mi chiedo: ma io, a 18 anni, sarei riuscito a stare lontano dai miei amici o avrei considerato il Coronavirus una “cosa” lontana dalla mia realtà? Probabilmente la seconda.

L’Agcom ha diffidato Mediaset per la puntata di Fuori dal coro, andata in onda lo scorso 21 aprile su Rete e già finita al centro delle polemiche per le dichiarazioni di Vittorio Feltri sui meridionali («sono inferiori»). Che idea hai di quest'affermazione? Ora che Feltri non è più un giornalista, non leggeremo più titoli ad effetto e contro la deontologia?

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Preferirei evitare di parlare di certi “personaggetti”, il giornalismo è fatto da tanta gente intelligente, perchè dare spazio a chi, oggi, non ha più le caratteristiche per fare questo mestiere?

I giornalisti/fotoreporter hanno diritto di critica sul resto del mondo ma non su sé stessi?

Credo che chi faccia questo lavoro dovrebbe, ogni sera, esaminare tutto quello che ha fatto durante la giornata, per trovare gli errori che ha commesso ed evitarli il giorno successivo. Informare è una responsabiltà, non un gioco. Lasciamo perdere quello che passa sui social e consumiamo le suole delle scarpe per strada alla ricerca delle notizie vere.

È stato ampliato il numero degli accessi stampa agli stadi e ora 70 giornalisti e 30 fotografi-Ussi e Usigrai auspicano che si possa tornare alla normalità pre-pandemia nel più breve tempo possibile, affinché a tutti sia garantito il sacrosanto diritto al lavoro. Come giudichi questa novità? Bisogna continuare a lottare per tutti quei colleghi che sono rimasti esclusi da quest'iniziativa?

Sicuramente la lotta deve continuare, per poter permettere a tutti quei colleghi rimasti fuori di poter svolgere il proprio lavoro. Ma bisogna anche cominciare una battaglia dove, anche in Italia, venga riconosciuto che la professione di fotografo, specialmente nell’ambito sportivo, non è un hobby domenicale o una scusa per allontanarsi dalla famiglia, ma un lavoro vero e proprio con il quale si sopravvive. Mi è capitato di coprire qualche evento sportivo all’estero, dove tristemente ti guardavi intorno e vedevi fotografi mandati dalle piu grosse testate sportive del mondo, ma mai da quelle Italiane e, nel contempo, gli unici “fotografi” italiani erano degli appassionati che, a loro spese, erano lì e regalavano foto alle nostre testate in cambio del mitico accredito.

L'ondata di body positive che ha invaso il mondo (social) della bellezza negli ultimi mesi, non ha a che fare solo con l'accettazione delle proprie curve e dei propri inestetismi; l’utilizzo dei programmi di fotoritocco sono controproducenti? La bellezza è anche nelle piccole imperfezioni che abbiamo?

Sicuramente sì, dobbiamo acquisire la consapevolezza che essere belli significa essere se stessi, accettarsi per quel che siamo. Se vogliamo paragonarci a tronisti e veline, prima di confrontarci dal punto di vista estetico, sentiamoli parlare. Dalla contrapposizione ne usciremo certamente vincenti e più belli che mai.

Pietro Puzone, 57 anni e uno scudetto vinto col Napoli di Diego Maradona nel 1987, oggi è un uomo in grande difficoltà che vive sulle panchine di Acerra, dove è nato, senza nemmeno un tetto dove ripararsi. Ci sono giocatori che hanno dilapidato la ricchezza acquisita negli anni. Hai mai pensato di raccontare le loro storie? Quali sono i giocatori che hai amato fotografare nella tua carriera?

Il mondo è pieno di persone famose e no che, un po’ perchè mal consigliate oppure catturati dai facili lussi o in qualche caso truffati da agenti eo amici, oggi sono costretti a vivere di stenti o addirittura per strada. Preferisco raccontare la storia di un povero disgraziato rimasto senza lavoro piuttosto che quella di un calciatore 50enne che ha dilapidato un patrimonio. Mi chiedi giocatori che ho amato fotografare, non so risponderti. Per me la fotografia sportiva è qualcosa che va al di là del soggetto, contano i gesti, l’atleticità, il confronto fisico. Il personaggio, calciatore, tennista o nuotatore che sia, è solo quella parte che porta ad essere una foto più o meno vendibile di un’altra. Purtroppo, oggi, vendi facilmente un primo piano di Ronaldo piuttosto che una foto di un record dell’atletica leggera.

Se dico Maradona ….

Maradona lo collego agli inizi della mia carriera di fotografo, dove qualche volta l’imprevedibilità delle sue giocate, quando oltre all’avversario smarcava anche te, ti lasciavano con un’inquadratura vuota. Ovviamente, Maradona era uno dei soggetti più ricercati dal mercato, tutto ciò che lui faceva era vendibile. Ma era anche un mondo differente, dove i calciatori non erano blindati dalle società o dai manager, per i quali gli ormai mitici diritti di immagine contano più di tutto. Del Maradona Dios del calcio e di Napoli non sono io a doverne parlare, ancora oggi viene osannato per le strade di Napoli da tanti giovani che non lo hanno visto giocare dal vivo, ma che ne hanno solo sentito raccontare le gesta o lo hanno visto in vecchi filmati. Poi mi chiedo: ma se un giorno il Napoli dovesse vincere un altro scudetto, Maradona verrebbe scalzato dal nuovo Re? Cosa resterebbe del mito del Pibe de Oro?

Ci sono dei grazie nella tua carriera ?

Certo, ancora oggi credo di dover ringraziare tutte le persone che interagiscono con la mia professione, gli editor che ti fanno affrontare nuove sfide, i soggetti che stimolano la tua curiosità, i colleghi con i quali ancora oggi mi confronto, cercando il giorno dopo tra i loro scatti cosa mi sia sfuggito

Progetti per il futuro?

Non sono abituato a farne; nel nostro lavoro si vive alla giornata , non sai mai tra un minuto cosa può succedere e neanche dove andrai, quindi macchine sempre pronte aspettando il domani.

Mario Di Marzio

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