Maurizio Gabbana

Maurizio Gabbana

Fino al 31 marzo la Galleria Triphè di Maria Laura Perilli, ospita la mostra fotografica “Infinite Dynamics” di Maurizio Gabbana.

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Infinite Dynamics. Questo il nome che l'artista milanese Maurizio Gabbana ha dato alla sua mostra fotografica, accolta da Maria Laura Perilli nella sua Galleria Triphé in via delle Fosse di Castello.

La dynamis - Δύναμις - nella Metaphysica di Aristotele, è il principio per cui qualcosa muta in qualcos'altro, la potenza. Questo è ciò che ritroviamo negli scatti di Maurizio Gabbana. Ecco quindi che, attraverso il suo obiettivo caleidoscopico, Gabbana rivisita luoghi simbolo come il Duomo di Milano, la Barcaccia di piazza di Spagna o la Fontana di Trevi, a Roma, trasformandoli in qualcos'altro, ricordando tele come Automobili in corsa o Automobili+vetrine+luci di Balla. Le influenze di Maurizio Gabbana non provengono infatti dal mondo della fotografia, ma dalla pittura, dai grandi maestri della luce dell'Ottocento, da Monet a Seurat a Degas. “Sono sempre stato affascinato – ci dice Maurizio alla presentazione della sua mostra romana – da quei pittori, che io chiamo reporter, che, tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, facevano reportage della vita quotidiana. Segantini, ad esempio, era un reporter che raccontava la quotidianità degli alpeggi, come Degas raccontava quella parigina, o Balestrieri, toscano, con le sue processioni. Un'altra mia passione sono i futuristi: amo il loro studio del movimento e la ricerca della ripetitività. Sono poi interessato ad Hopper e ai suoi studi sulla luce artificiale”.

La fotografia di Maurizio Gabbana potrebbe essere esaustivamente tradotta utilizzando le parole contenute nel manifesto futurista sottoscritto da Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Balla, l'11 aprile 1910, nel quale si legge: “Il gesto per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà, decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale. Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente. Per la persistenza della immagine nella retina, le cose in movimento si moltiplicano, si deformano, susseguendosi, come vibrazioni, nello spazio che percorrono. Così un cavallo in corsa non ha quattro gambe: ne ha venti e i loro movimenti sono triangolari”.

Tranne rarissime eccezioni, le sue fotografie sono tutte fatte con luce naturale. Tutte quelle presentate non sono postprodotte. Lavora sui diaframmi e sui tempi di esposizione. Le foto esposte che ricordano i lavori dei grandi esponenti del futurismo, sono realizzate semplicemente con la funzione della multiesposizione, esponendo più volte lo stesso fotogramma ruotando la macchina fotografica, avvicinandosi e allontanandosi al soggetto, una tecnica nella quale si è specializzato e che è la nota distintiva di parte dei suoi lavori. Gli scatti sono quasi sempre in numero dispari: tre, come nel caso della Barcaccia di piazza di Spagna, cinque, come per il Duomo di Milano, oppure sette; nove in alcuni casi.

Da quando, ragazzino, ricevette in regalo una macchina fotografica da suo padre, Maurizio ha iniziato il suo percorso di osservazione della realtà. “Mi piaceva osservare e mi ritrovavo ad osservare anche per ore – racconta ancora Maurizio – poi sperimentavo. Un fotografo come Duchamp, non è andato a scuola di fotografia, come altri grandi fotografi che hanno trovato in loro stessi la poliedricità che tutti gli uomini hanno. Gli antichi maestri ti insegnano l'attenta osservazione della luce”.

Questo lavoro lo ritroviamo in altri scatti che vedono le nuvole come soggetto, ispirati da alcune opere del Tiepolo,o nella serie di tondi, un occhio di bue che sottolinea una quotidianità che spazia da un uomo senza fissa dimora al bambino che gioca, scene di vita quotidiana che non guardiamo più, distratti dalla velocità dei nostri ritmi e dalla superficialità con cui divoriamo le immagini prodotte dagli smartphone, utili solo a soddisfare il nostro bisogno di mostrarci, nell'incapacità di apprezzare il singolo attimo.

Contrario alla fretta che si cela dietro l'uso della digitalizzazione, troppo spesso utilizzata solo per avere in tempi brevi un prodotto finito, Maurizio preferisce vedere ciò che lo circonda come una manifestazione di Dio e ricercare, in ogni suo sguardo sul mondo, quell'amore che, secondo lui, Dio riversa in ogni singolo fenomeno del suo creato. Lavoro, questo, che richiede profondità e riflessione, e che risulta essere incompatibile con i tempi di un selfie.

Dipingere l'invisibile, quello che l'altro non vede perché è distratto. Questa potrebbe essere la filosofia sottesa all'arte di Maurizio Gabbana.


Alessia de Antoniis




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