La dimostrazione di come un testo come “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde possa essere ancora oggi molto attuale è venuta dalla rappresentazione che ne hanno fatto al Teatro Due di Vicolo dei due Macelli a Roma una compagnia di giovani attori che pur non comparendo ancora su altisonanti locandine sicuramente ne faranno presto parte. Eh già, perché Luca Gabos, Fabrizio Loreti, Sara Tes Signoretti, Lorenza Sacchetto, Virginia Risso, Matteo Maria Dragoni, Cesare Ceccolongo e Sara Morassut hanno saputo ben evidenziare le caratteristiche e le particolarità di ciascun personaggio mettendo bene in risalto proprio tutta quella ironia e sarcasmo descritti da Wilde.
Ed invero se il gioco di equivoci della commedia mette in luce tutta quella cura dell'apparenza e della forma dell'alta società vittoriana, non possiamo dire che oggi non siamo da meno con tutta l’importanza che diamo a quello che cerchiamo di mostrare sui social. E questo il pubblico del Teatro Due lo ha potuto sicuramente percepire con l’adattamento e la regia di Lorenza Sacchetto e Matteo Maria Dragoni.
Pur cercando di rimanere fedeli all’originale con la storia di due scapoli che vogliono conquistare le donne di cui si sono innamorati fingendo quello che non sono, la trama poi sembra vivere di vita propria anche per una particolare versione che mescola sapientemente gli elementi tradizionali con riferimenti più attuali che attingono a piene mani anche dal mondo del cinema. Così il pretendente Jack Worthing disposto a farsi battezzare con il nome di Ernesto per amore della sua Gwendolen, ha il look di un improbabile Danny Zuko e anche gli abiti degli altri protagonisti sembrano rifarsi molto agli anni 50. Da pellicola del terrore, invece, la voce che ogni tanto viene fuori dalla bravissima attrice che ha interpretato la giovane cuginetta di cui si innamora l’altro protagonista maschile Algernon Moncrieff l’unico a cui, per modi e sembianze, è stato lasciato un tipico carattere inglese.
L’espressione che più rivela tutto il torbido di una società che oltre alla ricchezza mira anche alla forma disprezzando chi può non essere di nobili origini viene dalla madre di Gwendolen, Lady Bracknell che, colpo di scena, viene interpretata da Matteo Maria Dragoni che riesce a rendere la donna severa e autoritaria, schiava del falso perbenismo vittoriano. La prova dell’attore è stata davvero eccellente non solo per il falsetto della voce che ha saputo mantenere per tutta la rappresentazione ma anche per la sua piena padronanza della scena percorrendola in lungo e largo su arditi decolleté con tacco.
Ottima anche l’esibizione di Virginia Risso che ha dato al ruolo dell’istitutrice Miss Prism proprio quel senso di finto puritanesimo di donna austera e formale che non esita poi a lasciarsi andare alle lusinghe del giovane reverendo fra i personaggi più divertenti di tutta la rappresentazione insieme alla sexy cameriera che regala quel giusto tocco di sensualità. E per il finale da lieto fine con i ringraziamenti al pubblico ancora una trovata geniale con il coinvolgimento di tutti gli attori nel rifacimento del balletto più famoso della pellicola “Grease” rivelando finalmente il perché della scelta di quei costumi.
Lo spettacolo viene ad aggiungersi alla lista dei camei della rassegna “I grandi amatori” che, per la seconda stagione l’associazione Ka.St di Caterina Guida, sta portando con successo al Teatro Studio Due rivelando tuuta l’importanza di registi, attori, sceneggiatori, musicisti, costumisti che vogliono crescere nel nome della pura arte.
Rosario Schibeci
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