Gli anni più belli era uscito a febbraio, ed aveva iniziato avendo il successo cui i film di Gabriele Muccino ci hanno ormai abituati.
Il Covid-19 e la conseguente quarantena avevano interrotto questo normale percorso di fruizione cinematografica.
Ma niente può fermare la settima arte!
E così la distribuzione ha pensato bene di riproporre questo film nelle sale.
Si tratta della storia di quattro ragazzi legati da rapporti di amicizia e sentimentali che, come sempre nei film corali di Muccino, si intrecciano.
Gli attori sono Pierfrancesco Favino, sempre convincente, ma in questo ruolo, un po’ più ingessato del solito; Micaela Ramazzotti, in splendida forma interpretativa, Kim Rossi Stuart molto a suo agio nel ruolo dell’intellettuali di nobili sentimenti e poche virtù sociali, e Claudio Santamaria, ruolo forse delineato con meno cura.
La storia di dipana nell’arco di quattro decenni, narrandoci le vicissitudini dei protagonisti nel corso della loro vita, le quali spesso si intrecciano tra loro.
L’occasione è propizia anche a raccontare le varie epoche dell’Italia, forse trattate un po’ per stereotipi, ed in cui i personaggi sono chiamati ad interpretare dei ruoli tipo: il Favino rampante, il Rossi Stuart intellettuale sensibile ed insegnante precario, la Ramazzotti, donna che segue il cuore ma si fa tentare dal denaro, salvo poi redimersi.
Il titolo, Gli anni più belli, coincide con la canzone di Claudio Baglioni, e segue la moda ormai collaudata di certa cinematografia italiana, un po’ nostalgica, (o forse furba, dal punto di vista del marketing che punto ad un target transgenerazionale), di riprendere una canzone molto nota ed evocativa di un’epoca.
A proposito di marketing: non troviamo altre spiegazioni alla presenza di Emma Marrone in qualità di attrice, salvo, poi, a posteriori, averla trovata non fuori luogo nel personaggio che è stata chiamata ad interpretare.
Nel complesso un bel film di Gabriele Muccino, del filone delle pellicole corali del regista, tra cui il recente e riuscitissimo A casa tutti bene.
Meno introspettivo, ma che riesce comunque a raccontare una storia attraverso l’unione dei pezzi, costituiti dalle evoluzioni dei vari personaggi, che finiscono per delineare un puzzle in cui i valori predominanti e che finiscono per prevalere sono l’amore romantico e la nobiltà d’animo, a discapito del successo lavorativo, visto in una forma un po’ stereotipata. Il personaggio di Favino ricorda vari personaggi del genere interpretati spesso da Massimo Ghini.
Nel complesso, un film da vedere, per l’armonia con cui il sapiente Muccino dirige ed amalgama la recitazione degli attori, tutti, comunque di alto livello, e per le trovate stilistiche sempre innovative ma con grazia, senza rompere le certezze cui lo spettatore è abituato ad attendersi.
Una per tutte, una delle scene risolutive, in cui la protagonista femminile, sale una scalinata, che la poterà verso l’amore, ed ogni gradino è un passo della sua vita, rappresentato dall’aspetto che la stessa ha avuto in ogni sua epoca.
Gabriele Muccino, stupisce e colpisce duro, come ne La ricerca della felicità e Padri e figlie, oppure ci narra con grazia la vita.
Gabriele, grazie per la tua presenza così fertile nel cinema italiano.
Recensione di Gioia G. Di Mattia
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