Da quest’anno in poi, il 12 ottobre sarà il giorno in cui verrà ricordato il Beato Carlo Acutis, ragazzo morto di leucemia fulminante all’età di quindici anni nel 2006. Una vita come testimone di fede e prodiga di atti di solidarietà, con all’attivo un miracolo postumo, motivazione per cui è stato proclamato beato. Un percorso di santificazione come tanti, se non per la giovanissima età e per la passione tecnologica di questo ragazzo, che dalla propria pagina Facebook divulgava la propria fede. Nell’era contemporanea, avere un patrono di Internet è naturale. Ma Carlo ha un’altra caratteristica: proviene da una famiglia ricca. Nulla di male, anzi, più meritoria la santità, considerando che “è più facile che passi un cammello nella cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei Cieli” (Mt 19, 23-30). C’è soltanto da chiedersi se, nell’era di Internet e del rafforzamento della disuguaglianza sociale, per diventare santo bisogna essere stato papa o gestire un’opera di carità che produce ricchezza come il PIL di una Nazione, oppure avere genitori più che benestanti. Il tempo dei miti pastorelli ignoranti ma pieni di spontanea fede e curiosità, dei preti che rinunciano alla carriera ecclesiastica per dare una seconda possibilità ai carcerati, delle madri che donano la propria vita ai figli nascituri sembrano non andare di moda. D’altra parte, Carlo viene definito dalla madre “l’influencer di Dio” (Corriere della sera, intervista ad Antonia Salzano, di Stefano Lorenzetto, 10 ottobre 2020).
Cecilia Paolini
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