I cittadini, fiduciosi nelle regole di distanziamento sociale stabilite dai vari decreti, acquistano su internet un biglietto per i Musei Vaticani e a metà pomeriggio si trovano in un girone dantesco.
E già, perché chi compra il biglietto sul web non ha modo di sapere quante persone ci saranno in quella fascia oraria, quanti biglietti vende il sistema per quello “slot”. Non sono turisti, meno che mai stranieri: il biglietto lo comprano i romani, i residenti del circondario che pensano soltanto ad una bella occasione dopo quasi un anno di privazione culturale.
Le foto del pomeriggio nelle Stanze di Raffaello fanno il giro del web e subito è polemica.
C’è chi dice che è colpa del Museo, perché non è stato capace in mesi di calcolare esattamente la capienza delle sale e non ha voluto ridurre il numero di biglietti in vendita per fascia oraria (e su questo abbiamo già scritto).
Un Museo che ha apparentemente la coscienza a posto, avendo fatto vaccinare per il Covid 19 tutti i dipendenti. Peccato che anche chi è vaccinato potrebbe essere contagioso pur non ammalandosi, quindi lo stesso personale del museo potrebbe comunque contagiare qualche persona cara all’esterno, non importa se amici o famigliari. Viene da chiedersi se per i Musei Vaticani la salute di una persona valga 18.50 Euro, il prezzo del biglietto più quello del noleggio delle radioguide.
C’è però chi dice che è colpa delle guide turistiche con i loro gruppi, che non sono abbastanza veloci da sacrificare un Apoxyomenos o un affresco in nome dello scorrimento della folla, neanche si trattasse di un autobus.
Vorremmo però far notare che, se da un lato le guide non lavorano da mesi e i “ristori” non mantengono le loro famiglie, dall’altro un museo non dovrebbe mai essere così affollato, con o senza pandemia. Un museo dovrebbe essere prima di tutto un luogo di appagamento spirituale ed estetico, un luogo di riflessione e di apprendimento, dove le guide possano contribuire positivamente a questa esperienza, facendo un lavoro che non può essere ridotto a quello di controllori.
Si può e si deve approfittare del momento per fare un’educazione culturale che sia educazione al rispetto dei luoghi e delle persone, insegnando che si può convivere con il virus senza correre rischi insensati: le stesse guide e le associazioni culturali lo stanno ampiamente dimostrando con i le passeggiate in città, dentro e fuori i musei italiani.
Siamo certi che i cittadini andati sabato ai Musei Vaticani abbiano visto, come tutti, le immagini di quei luoghi deserti, immaginando finalmente di poter godere da italiani di un’esperienza negata negli anni della calca insensata del turismo mordi e fuggi ad ogni costo.
Cittadini, che di cultura hanno fame e bisogno, che sono stati capaci di mettersi ordinatamente in fila per ore a Venezia, testimoniando al sindaco e alla direzione dei Musei Civici come siano disposti a rispettare le regole pur di tornare a fruire di quanto – non ci stancheremo mai di ripeterlo – gli appartiene.
Così come ordinatamente distanziati stanno, con pazienza e qualche sacrificio, nelle mostre che pian piano ripartono nelle zone gialle, sia pure solo nei giorni infrasettimanali.
Dunque, dove sta il busillis?
Se guardiamo queste immagini in senso positivo ne possiamo trarre un insegnamento.
I luoghi della cultura, tranne qualche caso eccezionale come le grandi mostre di richiamo, difficilmente sono luoghi di assembramento e di potenziale contagio: se i luoghi della cultura fossero così pericolosi probabilmente l’Italia sarebbe un altro Paese.
Ciononostante, esiste un pubblico che di questi luoghi disperatamente bisogno, così come ne hanno bisogno i lavoratori della cultura, siano essi guide turistiche, esperti, collaboratori o personale di sala da troppo tempo in cassa integrazione (quando c’è).
Tenere chiusi questi luoghi nel fine settimana non può che provocare un effetto boomerang, lo stesso che vediamo nelle vie dello shopping in conseguenza della chiusura dei centri commerciali. Lo stesso che vediamo nei ristoranti aperti a pranzo, ma non a cena. Lo stesso che vediamo nell’aperitivo anticipato in merenda.
Perché non esiste decreto che possa confinare il bisogno di socialità degli esseri umani, sia esso culturale o anche solo semplicemente conviviale.
Proviamo a ragionare in numeri.
Secondo il rapporto Istat 2018 i cittadini italiani che hanno partecipato a un evento culturale di qualunque tipo (musei, mostre, cinema, teatri) per quattro volte in un anno sono stati circa un quarto della popolazione, per l’esattezza il 24,5%. Il picco lo raggiunge la Lombardia con la massima partecipazione, mentre la percentuale diminuisce man mano che si scende verso sud. Se, facendo un calcolo assolutamente arbitrario e del tutto ipotetico, immaginassimo un quarto dei romani che durante i weekend si reca nei luoghi della cultura – cosa che non è mai stata e che di certo non sarà in pandemia – avremmo circa 730mila persone in movimento verso gli unici luoghi aperti.
Dunque, decidendo di riaprire i musei, bisognerebbe far applicare e rispettare e regole a tutti, con contingentamento e distanziamento, prenotazioni obbligatorie, tempo di permanenza ben definito per il “cambio turno”, pagamento online dei biglietti, ma anche nei fine settimana, quando le persone possono realmente andarci.
In questo modo le persone si distribuirebbero equamente nel territorio e non ci si troverebbe ad assistere a spettacoli indecorosi come quello dei Musei Vaticani.
Bisogna che chi ci governa abbia il coraggio di una scelta e anche un po’ di fiducia nei cittadini: tranne pochi casi scellerati, gli Italiani stanno dando evidenza della loro capacità di stare alle regole, anche molto più di quanto si sarebbe potuto sperare.
Altrimenti chi ci guadagna è solo chi le regole può permettersi di non rispettarle. Mentre tutti gli altri ci rimettono.
Di Penelope Filacchione
Foto: Vincenzo Spina – Stanze di Raffaello 13 febbraio pomeriggio.
Young Tour – una passeggiata all’Aventino con distanziamento.
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