“IN BRITANNIA CUNCTI NOMEN ROMANORUM HORREBANT”
“In Britannia tutti temevano il nome dei Romani”. Cit.
Devo ancora realizzare cosa si è visto stasera.
Parlare di un match di calcio è riduttivo, un po' come lo è stato quello storico Roma -Barcellona di qualche anno fa; situazione, prestigio, avversario e risultato sicuramente diversi, ma è il bagaglio emozionale che non cambia mai.
Perché diciamolo, la Roma che si ami o si odi ti lascia sempre un sentimento; sia nel primo che nel secondo caso non riesci a rimanerle indifferente, ti coinvolge anche involontariamente semplicemente perché è viva.
Viva nella comunicazione, nelle polemiche, nel suo modo colorito di esporsi, nell'essere una squadra a vincere pochissimo eppure a muovere le folle: in città, nelle strade, allo stadio, in campo.
Basta poco ai romanisti per accendersi, per mobilitarsi, aiutarsi, fare scudo; in una parola, per dirla alla Mourinho: per fare famiglia.
Sono stati giorni nervosi quelli che hanno preceduto la semifinale all'Olimpico, non era nemmeno stata giocata l'andata che i biglietti erano esauriti tra la disperazione di migliaia di tifosi tagliati fuori da un numero, tifosi che si sono messi in fila virtuale per ore attendendo un turno che troppo spesso un sistema computeristico ha buttato fuori a poche centinaia di utenti dal lasciapassare; tifosi che hanno fatto sforzi enormi, viaggi lunghissimi pur di essere presenti, tifosi che hanno ceduto il posto a sconosciuti meno fortunati, tifosi che hanno cambiato posto per permettere ad un fratello di poter assistere la partita in tribuna invece che in curva perché dopo un incidente e una gamba infortunata, non avrebbe potuto superare due ore in sud. Se ne è accorto anche lo Special One, Roma è diversa, è l'amante perfetta quella che dimentica i torti e si infiamma per un match che sulla carta non ti da nulla a livello di trofei, ma vale il sogno di una finale: Roma ha quel cuore che se l'Olimpico avesse avuto 1 milione di posti li avrebbe riempiti tutti; Roma è quella piazza a cui puoi chiedere tutto e tutto ti da' e questa sera c'erano esattamente 70mila giocatori in campo che hanno sofferto, gioito e risposto presente all'appello del Mister ed alla prestazione dei giocatori in campo.
Una partita carica, giocata con i nervi tesi e con i giocatori che hanno stretto i denti e sono arrivati al 90mo sfiniti ma senza mollare nemmeno di un centimetro dove un Abraham che aveva dato tutto è rimasto in campo senza fiato.
E allora è facile rispondere, cosa abbiamo visto stasera?
Amore chiama amore, una famiglia che coinvolge e fa innamorare: Ranieri sugli spalti, Mourinho e Tammy a fine partita, i giocatori, tutto lo stadio e la gente a casa uno sguardo commosso che dice più di mille parole ed è stato questo a fare la differenza.
La finale a Tirana il 25 Maggio, riserva solo 7000 biglietti ed è un peccato perché nemmeno lì sarebbe bastato uno stadio intero.
La Roma si aggiudica la prima finale di Europa Conference League, con un gol di Abraham su angolo di Pellegrini, l'inglese intercetta di testa e come un cecchino la piazza alle spalle di Schmeichel 1-0 , quanto basta alla Roma per staccare quel biglietto tanto ambito, poi è stato un sacrificio di tenuta e tenacia.
Mou propone Abraham prima punta, deve rinunciare all'infortunato Mkhitaryan e punta su Pellegrini come trequartista, un Pellegrini che in realtà diventa molto di più, come lo stesso inglese, come Zaniolo e Zalewski, come il resto di una squadra che spinta dal tifo ha viaggiato a ritmi altissimi. I giallorossi prendono subito di petto gli avversari, al 7' la prima punizione rimediata da uno Zalewski immenso : “Stanotte si, ho dormito bene e senza ansie” la sua risposta ai giornalisti, e a ben vedere il giovane si è mostrato lucido, cinico e veemente con giocate di prima e dribblig che hanno fatto la differenza trovando sempre una perfetta affinità con Pellegrini, i due si cercano, dialogano e verticalizzano il pallone costringendo gli avversari a rincorrere e recuperare con fatica ; il resto viene gestito da un buon centrocampo dove solo Cristante ha impiegato qualche minuto di troppo per entrare in partita lasciandosi sfuggire in più occasioni Dewsbury-Hall, a fare buona guardia una difesa mostruosa; Smalling ha tirato fuori tutta la sua classe interponendosi continuamente tra gli attaccanti inglesi e la porta, al suo fianco Ibanez capace di giocate fin sotto la porta a supporto di Zalewski, l'effetto Mou ha reso la Roma una squadra con un'identità ed una capacità di abnegazione e l'ennesima partita perfetta di Mancini, che non ha rinunciato a colorare di giallo anche questa semifinale. Ma necessità fa virtù, perché la Roma dal 34' ha ceduto un po' il passo al Leicester che ha cominciato ad alzare il baricentro e la pressione, l'imperativo era andare al riposo con il risultato pieno ed il sacrificio ha permesso di tenere alto il morale.
Nella ripresa Rodgers mischia le carte in tavola inserendo Amrantey e Iheanacho per Barnes e Lookman, dando maggior supporto a Vardy e mantenendo il controllo palla per gran parte del secondo tempo. Il risultato è stata una partita che si è trasformata nel controllo del risultato utile dove gli inglesi non hanno mai veramente impensierito i padroni di casa comunque sempre alla ricerca del contropiede. Il gioco psicologico sfianca la Roma e Mourinho inserisce forze fresche, Veretout per Zaniolo, avanzando Pellegrini al fianco di Abraham, ma la pressione degli ospiti aumenta e qualche varco si apre: al 78' ci provano prima Maddison e poi Iheanacho, tentativi che Rui Patricio rende inefficaci, negli ultimi minuti entrano Vina e Shomurodov per Zalewski e Abraham, sfinito, devastato a cui l'Olimpico dedica cori e applausi.
Una partita infinita dove i minuti sembravano non voler trascorrere, cardiopalma in perfetto stile Roma, senza sofferenza non sarebbe la stessa cosa...
Eppure eccoci, siamo in finale. Voliamo a Tirana.
Tarani Laura
fonte immagine emanuele gambino
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