Tatsiana Pagliani andando oltre i confini del colore e della tela conferisce una conformazione tridimensionale alle sue opere andando a definire un ampliamento semantico di ciò che viene definito pittura eludendo restrizioni linguistiche, spaziali e materiali. Utilizza sia materiali tradizionali sia materiali di origine industriale, com’è tipico della contemporaneità. Riesce a personalizzare, in maniera del tutto evidente, lo statuto dell’arte pittorica mediante la sua attitudine interdisciplinare e semantica riuscendo ad abbattere gli steccati delle varie forme di espressione artistica. Inoltre, consegue lo slittamento di senso e il cambiamento dei contenuti tradizionali, ovvero ricerca della bellezza e esaltazione della storia e della mitologia. Le sue opere assurgono a una categoria multicomprensiva che si modifica costantemente in ordine ai contenuti, alle forme e ai materiali impiegati. L’arte di Tatsiana subisce, come in ogni altro linguaggio, quella che è la condizione irrinunciabile della contemporaneità: la trasversalità, la contaminazione dei generi, la compresenza degli stili, dei linguaggi. Le opere sono affini all’evoluzione mentale ed emotiva dell’artista, in grado di esprimersi nelle forme e con i mezzi più disparati. L’artista è sensibile alla tradizione e alla mitologia e si esprime mediante la pittura, cita il passato remoto o le avanguardie storiche, saccheggia la storia dell’arte, compone opere come racconti e installazioni significanti. Ulteriormente, Tatsiana si comporta con un sismografo sensibile ai flussi continui di immagini e di informazioni che condizionano e governano l’età postindustriale. Le sue opere si estendono tridimensionalmente nello spazio e sembrano ritagliarsi un’autonomia evidente da esso. Tatsiana nelle sue opere esplora la tematica spaziale tra vuoto e pieno, interno ed esterno, opacità e trasparenza, forza e leggerezza, andando oltre la bidimensionalità dell’arte pittorica imposta dalla
tela. Questo porta l’artista ad allontanarsi da un’arte scultorea o pittorica legata al cavalletto, accostandosi a una nuova dimensione, non pittorica ma filosofica liberandosi dalle convenzionali dimensioni e orientandosi verso la quarta dimensione del tempo-spazio. In questo modo Tatsiana non impone allo spettatore un tema figurativo, al contrario lo pone nella condizione di crearselo con la propria fantasia e le proprie emozioni. In particolare, i buchi, i tagli, gli squarci, le trasparenze, le sovrapposizioni delle calze costituiscono l’inizio di una scultura nello spazio che, uscendo dalla materia, si orienta all’infinito. In ogni opera tutto è ben calibrato, studiato e si cela una grande perizia tecnica. L’artista usa l’elemento visivo del colore che ha un forte effetto sulle sensazioni del fruitore, in quanto mediante il colore realizza delle atmosfere o delle sensazioni: colore come luce, come forma, come simbolo, come movimento, come armonia, come contrasto, come stato d’animo. Tatsiana riesce a dare vita a un linguaggio artistico originale con la forza comunicativa del colore: esso esprime suggestioni e stati d’animo difficili da narrare figurativamente. Nelle sue opere il reale è filtrato attraverso gli occhi del suo mondo interno partendo dall’inconscio, come affermava Kandisky “ogni opera nasce nell’inconscio […] è come un possente pulsare interiore contro le pareti che rinserrano l’anima, simile al travaglio di un parto”.
La tematica dell’immagine e del suo riflesso è un tema caratterizzante del pensiero occidentale sin dall’antichità, tanto che Platone, nel mito della caverna, ipotizzava l’idea di una specularità tra le cose reali, appartenenti all’Assoluto e il loro riflesso, simboleggiato dalle ombre, proiezioni distorte ed imitate di quello. Il cristianesimo riprende questo concetto e fa dello specchio una metafora di contemplazione, di conoscenza esteriore ed interiore, un riflesso imperfetto della condizione umana rispetto alla perfezione delle cose divine. Attualmente, specie l’arte, interpreta lo specchio nello stesso modo, spesso vedendo nella immagine riflessa una visione ironica e illusoria del mondo, come
suo superamento e, spesso, un suo stravolgimento. Jean Braudillard parlava proprio di ironia e illusione, evidenziando la differenza con la dimensione virtuale “un’immagine è propriamente un’astrazione del mondo reale e, per ciò stesso, inaugura la potenza dell’illusione. La virtualità, al contrario, facendoci entrare nell’immagine, ricreando un’immagine realistica in tre dimensioni distrugge questa illusione’‘ [Baudrillard, Illusione, disillusione estetica, 1997].
Tatsiana in questo progetto è stata ispirata dal mondo dei social media in cui l’apparenza è una vera e propria ossessione tanto da parlare di stile di vita. Il cellulare ormai è un’estensione del corpo, un elemento indispensabile con cui tutti scattano gli irrinunciabili selfie solo per farsi ammirare. Ma cosa si cela dietro questa ricerca ossessiva del sè? È un nuovo modo per innalzare l’autostima? Cosa spinge a recarsi in un determinato luogo solo per dire “ci sono stato anche io!”? Tatsiana Pagliani analizza nelle opere: la bellezza interiore, immutabile nel tempo e salvifica; il concetto di sé, ovvero le caratteristiche d’identità, le qualità e tratti del modo di essere; l’amor proprio e quindi l’apprezzamento e l’affetto che l’uomo prova verso sé stesso (le sue idee, i suoi valori ed modi di pensare); la mancata vicinanza emotiva che non permette una relazione autentica e profonda con gli altri; il narcisismo tipico dei social media in quanto, con rammarico, le persone vogliono apparire diverse, forse per riempire un vuoto interiore cercando la felicità al di fuori. Questo sui social si traduce in una ricerca di attenzione e riconoscimento, che porta alla creazione di una falsa felicità momentanea, in quanto il desiderio di piacere priva la persona della sua stessa identità. Web come specchio ideale, social come casa del narcisismo e quest’ultimo rappresenta l’inclinazione della società virtuale in cui si fa attenzione all’apparenza e non alla sostanza.
Testo critico di Federica Fabrizi
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