Rezza E Il Ridicolo Che Si Fa Arte. Che Si Fa Scuola.

Rezza E Il Ridicolo Che Si Fa Arte. Che Si Fa Scuola.

I teli attraverso i quali il performer si trasforma lasciando – comunque – sempre il suo volto esposto sono elementi materiali e poetici fondamentali

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Ieri – per chi scrive – mercoledì 27 luglio è andato in scena presso il Castello Di Santa Severa, lo spettacolo “Fratto X”, un’opera di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, scritta da Antonio Rezza, con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista.

Se aveste la pazienza e la curiosità di andare a leggere la descrizione Facebook dell’evento in questione, potreste notare una piccola curiosità che pare calzare a perfezione con un’impressione maturata durante la visione di questo lavoro che può essere definito in ogni modo possibile, ma che mal si sposerebbe con l’aggettivo “convenzionale”.

Si diceva che nella descrizione dell’evento presente su quello che è sicuramente il social più famoso si leggono 2 orari ben distinti per l’apertura delle porte e per l’inizio del “concerto”. Beh, c’è da dire che il termine utilizzato, fosse anche solo mutuato da precedenti scritti atti a presentare le occasioni culturali programmate presso la medesima location nel corso di questa estate 2022, incarna nel migliore dei modi la natura di questa divertentissima ed intelligentissima proposta teatrale, che ha, a tutti gli effetti, le stigmate della musica rock e che vede nel suo performer principale un frontman di strabiliante levatura.

Rezza, insignito nel 2018, insieme alla sua sodale Mastrella, del Leone D’Oro alla carriera dalla Biennale di Venezia, è un unicum dell’arte teatrale italiana se non addirittura europea e mondiale.

Dotato di una verve senza pari e di un corpo di cui non lesina un utilizzo non per forza armonico e rassicurante, il nativo di Novara ha una scaletta composta da vari pezzi che denunciano con straordinaria freschezza ed ironia le stagnanti posizioni ideologiche di una società affossata da sempre e sempre di più su certezze stantie e francamente cancerogene. Dall’amore alla famiglia alla religione, passando per gli sceneggiati televisivi di una volta – facilmente trasmutabili nelle fiction odierne – tutto quanto lo spettacolo è una presa in giro di un intorpidimento intellettivo generale che non fa salvo quasi nessuno.

Gli stessi spettatori vengono chiamati in causa – con un grande coraggio che tange la presunzione, lo si può azzardare – in questo affresco della realtà che si fregia di figure bislacche eppure riconoscibilissime.

I teli attraverso i quali il performer si trasforma lasciando – comunque – sempre il suo volto esposto sono elementi materiali e poetici fondamentali per la resa complessiva dello spettacolo così come determinante e l’utilizzo dello stesso volto chiamato a subire una serie di deformazioni necessarie a dare vita a personaggi solo apparentemente grotteschi

L’incomunicabilità fatta dall’eccesso di parole è uno dei punti del Teatro del duo che manda in scena queste scene ridondanti, eccessive, lunghe fino alla noia talvolta – e anche qui non manca la consapevolezza del rischio che si corre, è evidente – e , senza dubbio alcuno, piene di un furore ancestrale che si propone di ribaltare un mondo che non va e che preferisce sedersi nella sua ripetitività mortale , piuttosto che tentare un colpo di coda rivoluzionario atto a sconfiggere degli status quo rassicuranti solo per chi fa della paura l’unico sigillo della propria esistenza.

Insomma, uno spettacolo questo “Fratto X” che, a differenza di altri che si propongono obiettivi simili di denuncia, lascia l’astante carico di quell’adrenalina che solo le grandi star musicali d’oltreoceano parrebbero possedere secondo i più rassicuranti luoghi comuni e che investe non tramite l’ostentazione gratuita e poco utile di rabbia fine a sé stessa, ma tramite la raffinata scelta di lasciare che quanto si è proposto agisca da stimolo sulle menti che saranno state in grado di recepire le ridicole situazioni proposte.

Giuseppe Menzo

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