Fino al prossimo 28 agosto Palazzo Bonaparte a Roma ospita “Jago The Exhibition” la prima personale dello scultore Jago, al secolo Jacopo Cardillo, classe 1987, artista contemporaneo, con una capacità comunicativa non indifferente e con un seguito sui social degno di una rockstar, tanto da essere universalmente noto come “The Social Artist”.
Jago ha un grande merito, lasciatemelo dire, quello di trasmettere amore per l’arte a chi lo segue, soprattutto alla platea dei giovani e giovanissimi, troppo spesso poco inclini all’arte contemporanea.
Le opere di Jago, che rimandano, come tecnica, ai grandi artisti classici del passato sono invece sempre affini alle tematiche attuali, ai nostri tempi.
La sua ultima opera “In flagella paratus sum”, dal 6 agosto, è posizionata su Ponte Sant’Angelo a Roma, il giovane profugo in marmo nero giace tra i passati anche se, purtroppo, l’opera è stata già vandalizzata, qualcuno gli ha troncato di netto la mano destra.
Un percorso espositivo antologico, quello che propone Arthemisia a Palazzo Bonaparte, che vuole essere un viaggio in tutta la produzione del giovane scultore di Frosinone.
Non me ne vogliano i suoi followers e anche lo stesso artista se alla magnifica imponenza scultorea della sua “Pietà”, della “Venere”, di “Habemus Hominem”, preferisco, di gran lunga, la spettacolarità di “Apparato Circolatorio”, “La pelle dentro”, “Sphynx”, “Excalibur”, “Memoria di sé” e trovo di particolare interesse “Containers” e di struggente e sublime bellezza il piccolissimo “First baby”, abbinato alle foto dell’astronauta Luca Parmitano nello spazio.
Jago riesce nel complicato compito di rendere ogni sua opera unica, inimitabile, con un segno scultoreo, che lo distingue da tutti, messaggi forti, chiari, mai celati, che parlano di sociale, di inclusione, di contemporaneo, del nostro tempo, perché quello è il suo ineguagliabile marchio di fabbrica.
Ho voluto fare qualche domanda a Jago, per meglio comprendere la sua arte e il suo successo mediatico.
Jago che effetto fa questa tua personale a Palazzo Bonaparte?
Trovarmi qui a Palazzo Bonaparte è un’esperienza incredibile, perché vado ad aggiungere un elemento culturale nuovo, così come ho sempre fatto, quindi per me è il momento dell’apprendimento, sono qui e imparo delle cose nuove, in punta di piedi, zitto e buono ascolto le eccellenze che mi circondano. Arthemisia ha avuto il coraggio di costruire questo momento che speriamo possa essere un momento di condivisione magnifico per tutte le persone alle quali mi rivolgo giornalmente, attraverso i miei canali social, che frequento da 15 anni a questa parte e che fanno parte del lavoro stesso.
I social non sono un’appendice al lavoro, una cosa che debbo fare perché altrimenti non succedono delle cose, è il mio lavoro, è la scultura. Condividendo tutti i giorni con persone che ti dedicano una parte del loro tempo e averne coscienza, farle entrare nel processo creativo, condividerlo con loro, vuol dire lasciarsi condizionare e io mi lascio condizionare favorevolmente da tutto quello che accade e al quale partecipo, chiaramente. E questo diventa un valore che va a costruire l’opera che poi ulteriormente ricondivido.
Ti dà fastidio essere considerato un fenomeno mediatico più che un artista contemporaneo che usa magistralmente i mezzi di comunicazione e i social per far conoscere la sua arte?
Guarda è una cosa che non mi riguarda, non è una mia definizione. Se sono io a descrivere quello che faccio utilizzo i mezzi che ho a disposizione. Lo stesso vale nella poetica, nell’immagine che poi realizzo, tutto nasce per necessità. Poi con il tempo capisci il motivo per il quale hai fatto determinate opere, per esempio oggi posso dire che ho gli strumenti per capire perché ho fatto una determinata opera 7 anni fa, che nasceva dall’istinto, il nostro istinto ha la capacità di anticipare il nostro pensiero razionale. Voglio lasciarmi guidare inizialmente da quello, per poi scoprire nel tempo il motivo per cui l’ho fatto, a volte, scopro il motivo per cui l’ho fatto grazie a chi partecipa all’opera.
Ecco perché voglio allontanarmi, discostarmi, dalle mie spiegazioni personali, perché ho fatto un’opera, gli ho dato un titolo e te la devo pure spiegare… allora c’è un problema di comunicazione… E’ come quando scrivi un pezzo e lo devi spiegare o come chi scrive una poesia, la spiegazione alla poesia, a volte, uccide la poesia stessa.
Ognuno in un’opera d’arte può vedere ed interpretare quello che vuole, io voglio sentirmi libero di non capire niente, lasciamo questa libertà anche agli altri.
Che peso hanno nella tua vita le radici? Quanto conta essere di un paese di provincia nel Lazio ed averci studiato?
La qualità della vita al primo posto, la famiglia, le piccole cose, quel sentimento che continua ad accompagnarti sempre, c’è anche un po', dipende dal carattere, il desiderio di imporsi, di affacciarsi sul mondo. Il piccolo centro che cosa ti dà, ti dà la possibilità di fare l’esperienza, pensa tu il paradosso, del palcoscenico. Perché tu puoi trovare il tuo spazio perché il posto è piccolo, puoi conoscere tutti, invece nella città sei un numero. E’ più difficile imporsi pensando di crescere all’interno di una città, invece se vieni da un piccolo centro hai fatto, per necessità, una serie di tappe, anche per vivere. La mia fortuna sai qual’è stata? Che io sono cresciuto in un fallimento, con grandissime difficoltà, quelle sono state il valore aggiunto, perché ho dovuto, per amor proprio, dover tutelare il mio desiderio di fare quelle cose ma dandogli un senso, applicandole alla realtà del “dover campare”, al vivere di arte.
Si può vivere di arte?
Certo che si può fare e, secondo me, bisogna giocare a carte scoperte e condividere con i giovani tutti i risultati, economici e non, anche le sconfitte, quelle sono le più importanti… un bambino in fondo come impara a camminare? Cadendo.
Quello è il valore e io sono felice, se pensi alle cose che faccio, qualcuno mi chiede ma tu non sbagli mai? No, io divento sempre più bravo, sbaglio sempre meglio. Io sono bravissimo a sbagliare. Quello che vedi qui esposto è frutto di un grandissimo errore (ride di cuore…)
Farai un qualcosa all’interno di Palazzo Bonaparte che diventerà per un periodo il tuo studio, ci vuoi dire qualcosa in più?
Palazzo Bonaparte diventa il luogo che accoglie un momento creativo, so quello che devo fare, lo condividerò piano piano e il risultato sarà l’aver lavorato qui dentro con l’affaccio su Piazza Venezia, pensa in che modo mi potrà condizionare tutto questo, è un’esperienza nuova. Io non sono fatto per le confort zone, io devo sempre spingermi in una dimensione nella quale rischio, ragiono da investitore, mi piace il rischio, rinunciare a questo vuol dire passare una vita convenzionale. Ogni giorno mi dico sempre una cosa: non voglio rischiare di trovarmi a dire l’avessi fatto, con rimpianto.”
Applauso a Jago, alla sua genialità, all’essere così contemporaneo e allo stesso tempo anacronistico e ad aver conservato una grande umiltà, tipica di chi non si sente un artista arrivato, pur potendoselo permettere. Giovane, brillante, comunicativo, artisticamente affermato, Jago incarna la nuova dimensione della scultura, di cui sentiremo assolutamente ancora tanto parlare!
Stefania Vaghi
© Riproduzione riservata