Gloria Gulino

Ma se perdi la tua memoria, perdi anche quello che sei, i ricordi che hanno costruito la tua personalità, le tue capacità. Insomma, la tua identità. Ecco allora il vuoto. Esiste forse una solitudine maggiore della perdita di se stessi?

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Unfolding Roma incontra la giovane attrice Gloria Gulino. Bolognese di nascita, l’arte della recitazione è nelle sue corde. Si diploma all’Accademia Silvio d’Amico di Roma. Partecipa a seminari e laboratori di recitazione sia con grandi esponenti del teatro italiano che stranieri, acquisendo tecniche migliori e avanzate.

Un animo gentile che prova con tutte le sue forze, e ogni giorno, ad avanzare un cambiamento verso la cultura. Collabora con l’Associazione HeART, dedicandosi, inoltre, anche al teatro per ragazzi e bambini con determinazione.

Al suo secondo spettacolo. Ideato dalla sua fervida e poetica penna e grazie all’acuta osservazione a ciò che le avviene intorno, esordisce al Roma Fringe Festival 2015 con Promemoria – Monologo per persona sola, nomination per miglior drammaturgia.

Un filo logico interpreta solitudine e quotidianità, perdita dei ricordi e della propria identità, punti cardine che l’artista ha voluto evidenziare nel suo monologo avvalendosi anche di spunti e vicissitudini familiari.

Ricordi che ben legati hanno dato vita al testo ove l’incapacità di esprimere sensazioni, il senso di disorientamento e di sovrapposizione dei pensieri, l’incapacità di tenere l’amore, sebbene esista e sia presente, per via dell’Alzheimer, si intersecano con l’emigrazione da Tripoli all’Italia e mantenendo viva la tradizione del cous cous.

Andiamo a scoprire insieme il mondo di Gloria Gulino.

Buona lettura

Quale è stata la tua ispirazione per lo spettacolo Promemoria – Monologo per persona sola, e come si è evoluto il tuo lavoro nel tempo?

Le evoluzioni sono state tante, il testo ha avuto una lunga gestazione prima di arrivare alla forma attuale. Più che di ispirazione parlerei di esigenza. L’interesse verso la malattia di Alzheimer nasce da un’esperienza familiare, e approfondendo l’argomento ho scoperto la complessità e la problematicità di una condizione umana che non è affatto poco diffusa, ma è ancora troppo poco conosciuta. Mi sono documentata molto, ma non stavo cercando i dettagli clinici, quello che mi interessava indagare è quello che si prova, il senso di solitudine, di perdita, di confusione.

L’impossibilità di agire sul proprio destino, l’impossibilità di comunicare quello che si sente. Tutte condizioni molto umane, al di là del campo ristretto della malattia.

Ho scoperto libri, film, un fumetto addirittura, molto belli e delicati. Ho scoperto anche che tanto materiale è rivolto soprattutto ai familiari, che vivono un dramma altrettanto importante. Ma volevo parlare della malattia dal punto di vista di chi la vive, e a questo proposito è stato di grande ispirazione il libro Visione Parziale, di C.S.Henderson.

Promemoria – Monologo per persona sola  ha partecipato all’edizione del Roma Fringe Festival 2015 ottenendo la nomination per migliore drammaturgia. Come hai vissuto l’esperienza? In quel momento avevi già idea di come far girare lo spettacolo?

È stata una bella sorpresa, anche perché non nasco come drammaturga e questo è uno dei primi testi che scrivo. In effetti il testo è stato l’aspetto su cui ho lavorato di più per la realizzazione di questo spettacolo, quindi è stato un riconoscimento che mi ha fatto molto piacere. In generale tutta l’esperienza del Fringe romano è stata molto bella, per la cornice in cui era, i Giardini di Castel Sant’Angelo, per l’atmosfera che si respirava. Teatro, teatro, teatro. Giovani compagnie che presentavano i loro lavori con entusiasmo e operatori competenti che contribuivano alla buona riuscita del Festival.

Credo che in Italia ci sia una grande forza artistica, al di là dei grandi giri ufficiali, che sta prendendo sempre più piede e rappresenta sempre di più quello che può significare fare teatro oggi. Festival come il Fringe sono potenzialmente buone possibilità anche per i giovani artisti.

Detto questo, purtroppo, far girare gli spettacoli non è poi però così semplice, e spesso ci vogliono anni perché un giovane artista riesca a trovare una sua dimensione.

Tornando a Promemoria, la tua ricerca si è arricchita anche delle interviste condotte alle persone affette dal morbo di Alzheimer ricoverate all’ASP Giovanni XXIII di Bologna. Quali elementi hai raccolto da questa esperienza per sviluppare il tuo lavoro?

In Italia, per fortuna, esistono diverse strutture specializzate che accolgono persone affette da questa malattia. Ho dovuto, giustamente, richiedere dei permessi, ma sono poi riuscita ad andare qualche giorno all’ASP Giovanni XXIII di Bologna per stare a diretto contatto con i pazienti, nel rispetto totale dell’anonimato. Ho trovato del personale infermieristico molto competente, che mi ha affiancato costantemente durante le interviste. Loro utilizzavano il metodo Validation, per entrare nel mondo interiore dell’anziano attraverso l’empatia, così che egli possa sentirsi accolto, preso in considerazione, riconosciuto. Questo aiuta a ridurre lo stress e a mantenere la dignità e il benessere del paziente.

All’inizio il mio intento era quello di trovare una bella storia che riempisse i ricordi e il vissuto del mio personaggio e ne definisse quindi la personalità. Ma alla fine il vero arricchimento è arrivato non da quello che mi hanno raccontato gli anziani che ho intervistato, ma dal come me lo hanno raccontato. I continui salti temporali, la confusione, la sovrapposizione di immagini, le allucinazioni (ricordi remoti che si sovrapponevano al presente), le piccole azioni ripetute, la ricerca continua di affetto e di riconoscimento. Ho potuto arricchire di dettagli il mio personaggio, ma soprattutto ho iniziato ad empatizzare con esso.

Abbiamo assistito alla performance. Ci presenti le difficoltà del quotidiano, la solitudine e il disorientamento. Come pensi si possa sopportare tutto questo?

Non lo so. È quello che cerco di indagare, ma una risposta non ce l’ho.

Il malato non è in grado di riconoscere ciò che accade nella sua testa. La sensazione di vuoto lo attanaglia e fa soffrire anche i famigliari. Cosa si rischia di perdere essendo colpiti dall’Alzheimer?

Con l’Alzheimer si perde la memoria. La memoria a breve termine è la prima a scomparire, mentre i ricordi più lontani permangono più a lungo. E questa è una prima superficiale risposta, per quanto corretta. Ma il discorso non si esaurisce qui.

Perdendo la memoria cancelli prima di tutto ciò che ti sta attorno, gli affetti. E questo è il grande dramma anche dei familiari, figli che non vengono più riconosciuti, ad esempio, che si ritrovano a fare da genitori ai propri genitori. La solitudine si fa strada. Perdi la memoria delle parole e quindi l’uso del linguaggio. Da qui l’impossibilità di esprimersi. Il disorientamento.

Ma se perdi la tua memoria, perdi anche quello che sei, i ricordi che hanno costruito la tua personalità, le tue capacità. Insomma, la tua identità. Ecco allora il vuoto. Esiste forse una solitudine maggiore della perdita di se stessi?

Ecco perché Promemoria, per dare un centro alla memoria e quindi a chi siamo. Ed ecco perché alla fine, per costruire i ricordi del mio personaggio, ho scelto di ispirarmi ad un’altra vicissitudine familiare, quella dei miei genitori, italiani di Libia cacciati da Gheddafi.

Il mio personaggio ha vissuto questa esperienza da ragazzina, le è stato strappato via tutto ma ha potuto ricominciare da capo, conservando nella memoria il ricordo di quello che era la sua vita prima. Ora la malattia le strappa nuovamente via ogni cosa, ma ricominciare non è possibile.

Trovo calzante questo parallelo e mi piace l’idea che ci sia un legame con dei fatti storici realmente accaduti, per quanto poco ricordati, che fanno parte della memoria collettiva.

In qualità di insegnante teatrale per ragazzi e bambini quale speranze hai per il futuro rispetto ai giovani di oggi? E come riesci a conciliare le tue attività con quelle dell’Associazione Culturale HeART?

HeART è l’associazione culturale che ho fondato insieme a due amici e colleghi a Bologna. I laboratori teatrali e di musical per ragazzi e bambini sono tra le nostre principali attività, perché crediamo molto nel valore educativo del teatro, che ha la capacità di sviluppare l’intelligenza e la creatività, facendo cultura. Il Teatro insegna a mettersi in gioco, a collaborare con le proprie abilità e non-abilità. Insegna a non avere paura di esprimersi, di emozionarsi, di conoscersi. Insegna a lavorare con gli altri. In una parola insegna ad essere liberi. Ed è questo che mi auguro per le nuove generazioni.

Quale, secondo la tua opinione, la via migliore per salvare la cultura in questo particolare momento storico?

Beh… innanzitutto non ucciderla! E dare spazio alle nuove generazioni, non soltanto di artisti, ma anche di spettatori. Di tutte le arti. Stimolando con un’offerta varia che crei dialogo, che non sia solo mera fruizione. Per aumentare lo spirito critico di chi fruisce dell’arte, perché possa pretendere sempre di più e meglio.

Grazie Gloria del tuo prezioso tempo e della chiacchierata.

Annalisa Civitelli

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