Patrizia Ciccani

Quando l’essere umano non riesce a convivere serenamente con la propria diversità, la sofferenza è inevitabile, diventa difficile riconoscere la diversità di un altro se non si è in pace con la propria.

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Oggi incontriamo per UnfoldingRoma Patrizia Ciccani, ricercatrice universitaria e scrittrice, da sempre attiva su un tema “speciale” che la riguarda da vicino: la disabilità.

Paradossalmente il progresso degli strumenti di conoscenza e socializzazione vede di contro un aumento vertiginoso delle dinamiche di isolamento tanto nelle scuole con il bullismo quanto nella società civile con l’abbandono dei disabili, dei malati e delle loro famiglie…. Su Face book ci si riempie la bocca di belle parole e slogan forse un po’ qualunquisti, ma una bimba di dodici anni si getta dalla finestra e non succede proprio nulla. Lo stato taglia fondi e assistenza sanitaria ed economica alle famiglie dei disabili e non si scende in piazza. La piazza si riempie contro le unioni civili….

Il Family day secondo lei ha qualcosa a che vedere con l’incapacità di accogliere il diverso in tutte le sue forme?

Sicuramente rappresenta la difficoltà di accogliere il cambiamento, la direzione verso la quale la diversità in tutte le sue forme trascina.

Il nostro paese come si colloca rispetto all’Europa sui temi della diversità: ci vuole raccontare la sua esperienza?

Nel resto dell’Europa la disabilità viene percepita come cosa normale, in Italia ancora mette a disagio e incontra problemi. Ho visitato diversi paesi europei, la sensazione che ho provato è proprio di familiarità, come se le persone fossero pronte a incontrarmi. Io ho una tetraparesi spastica che comporta difficoltà di movimento e di linguaggio. All’estero queste due difficoltà non sembrano costituire un problema, come invece accade spesso in Italia, e questo è un paradosso visto che all’estero c’è anche l’handicap della lingua. Nel mio libro “Zia, lo sai che sei un po’ strana?”, la mia autobiografia, sono raccontati episodi accaduti sia in Italia sia all’estero.

La disabilità è una forma di diversità; se normalità è omologazione a modelli astratti, plastificati e irraggiungibili come la Barbie o consumatori modello come la famiglia del Mulino Bianco…. L’essere umano non dovrebbe essere qualcosa di più?

La normalità non dovrebbe essere omologazione, è proprio l’essere diversi che ci rende normali. La famiglia del Mulino Bianco non è la normalità, questo ognuno lo sa, proprio perché è irraggiungibile. La normalità dovrebbe essere la convivenza di tante diversità, alcune più evidenti, come la disabilità.

Non crede che la sofferenza sia il destino di ogni essere umano che rifiuta la diversità fuori e dentro di sè?

Quando l’essere umano non riesce a convivere serenamente con la propria diversità, la sofferenza è inevitabile, diventa difficile riconoscere la diversità di un altro se non si è in pace con la propria.

Cos’è il pregiudizio?

Letteralmente è un giudizio dato senza conoscere i fatti, quindi un’attività meramente cognitiva. Io sostengo che il pregiudizio investe anche la nostra parte affettiva, ovvero i sentimenti. Faccio un esempio: la relazione con chi non mi conosce può essere difficile quando l’altro pensa che io ho un deficit anche mentale, ma la difficoltà non scompare quando apprende che il problema di linguaggio non necessariamente comporta anche il ritardo mentale. La paura di non comprendere ciò che dico guida il suo comportamento: la fuga o il fingere di capire, raramente riesce a stare nella relazione, chiedendomi, ad esempio, di ripetere ciò che dico, che sarebbe la reazione più ovvia. Il pregiudizio può essere eliminato se si lavora su entrambi i piani, cognitivo e affettivo. Questo è stato il mio ambito di lavoro per venti anni, creando laboratori per bambini, ragazzi e adulti, è stato anche l’argomento della mia tesi di dottorato, pubblicata da Armando editore, con il titolo “Pregiudizi e disabilità. Individuazione di strategie educative per l’elaborazione e il superamento del pregiudizio”.

Come è stata la sua infanzia?

Fino alla quinta elementare ho frequentato una scuola speciale, tutti avevamo una disabilità, la mia infanzia si è svolta lì, molto serenamente. Sono cresciuta in un ambiente dove la diversità era normale, questa percezione ha contribuito non poco alla formazione della mia personalità, mi ha aiutato ad affrontare con più forza il mondo fuori. Anche a casa venivo trattata normalmente, esattamente come i miei fratelli.

Già negli anni settanta in Italia c’erano scuole dove i ragazzi erano fianco a fianco negli stessi banchi di scuola con tutte le diversità…. Abbiamo fatto dei passi indietro?

Decisamente sì. Proprio negli anni settanta ho fatto il mio ingresso nella scuola di tutti, insieme a tutti. L’impatto, in prima media, è stato duro, certo, ma semplicemente nel vivere insieme abbiamo imparato a convivere, risolvendo le difficoltà subito, magari sbagliando, ma senza troppe complicazioni. Ora, ma già da diverso tempo, la disabilità è accompagnata da troppe sovrastrutture che rendono difficile la spontaneità dei rapporti. Un esempio: l’insegnante di sostegno, in molte occasioni, separa invece di unire i bambini e i ragazzi. Il sostegno alla classe, come previsto dalla legge, poche volte viene fatto, più spesso l’insegnante preposta si occupa solo dell’alunno con disabilità, magari fuori dalla classe.

Le innovazioni presenti nell’insegnamento nella scuola italiana sono un vero aiuto alla realtà di ogni bambino o ragazzo con “bisogni differenti” o sono solo fumo negli occhi e un provvedimento populista per creare qualche posto di lavoro in più?

Penso che spesso ci sia poca aderenza ai veri bisogni degli alunni, ognuno dei quali ha bisogni speciali, non solo chi ha una disabilità. Uno dei problemi è la formazione degli insegnanti, sia di sostegno sia curriculari, non hanno strumenti per lavorare nel modo giusto quando in classe hanno alunni con disabilità, ma non è una colpa. Un aspetto che non si vuole affrontare è quello della relazione con il bambino o ragazzo con disabilità, una relazione che può spaventare, può generare problemi, che l’insegnante si trova ad affrontare da solo. L’integrazione degli alunni con disabilità è stata ed è fatta senza curare proprio la dimensione relazionale, fondamentale perché l’integrazione si realizzi davvero.

“Zia, lo sai che sei un po’ strana?”: a cosa si deve il titolo del suo ultimo libro?

Questo non posso svelarlo, rovinerei la sorpresa che contiene. Posso dire che ha origine nel rapporto davvero speciale che ho con ognuno dei miei quattro nipoti. Come accennavo, il libro è la mia autobiografia, raccontata con ironia, un elemento importantissimo nella mia vita e nel mio lavoro, con la disabilità si può anche ridere, non è sempre sinonimo di tragedia e tristezza.

Lei è a riposo da pochi anni dalla sua esperienza accademica e di ricerca, ma che umanità ha incontrato tra i giovani che ha incontrato durante quell’esperienza? Ci racconta un episodio che l’ha colpita in particolare, nel bene o nel male?

I giovani sono splendidi, pronti al cambiamento anche quando questo costa fatica. Nel laboratorio che ho condotto per tanti anni all’Università riconoscevano le paure, i disagi, le difficoltà che vivevano relazionandosi con me, lavoravano per elaborarle riuscendo a superarle cambiando radicalmente il modo di porsi. Più che un episodio in particolare mi piace dire che dal materiale grezzo portato nel laboratorio ne usciva una creazione fantastica alla fine degli incontri, una relazione libera. Tutto questo è raccontato nel libro.

So che sta promuovendo il suo ultimo lavoro “Zia, lo sai che sei un po’ strana?”; c’è qualche incontro in previsione o qualche iniziativa associata al libro che ci vuole segnalare?

Le prossime presentazioni sono ancora in cantiere, saranno comunicate nella pagina facebook dedicata al libro con lo stesso titolo del libro, ecco il link https://www.facebook.com/Zia-lo-sai-che-sei-un-po-strana-505948719560420/?fref=ts.

Mi preme dire che il libro è in cerca di un nuovo editore, la casa editrice che lo ha pubblicato ha già cessato la sua attività.

È possibile acquistare il libro su Amazon e a Roma presso la libreria Odradek in via dei Banchi Vecchi, 57.

La ringrazio per averci dedicato il suo tempo ed auguro una grande e meritata fortuna al suo libro!

AnnaMaria Maurelli

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