Il nome di Giacomo Puccini è conosciuto nel modo per le sue eterne opere. Tutti sappiamo come la Bohème, la Tosca, Madama Butterfly e la Turandot lo abbiano elevato nel gotha della musica a livello mondiale. A Roma, Il nome di Puccini, è stato purtroppo indegnamente accostato ad un cinema nella zona di Casal Bertone, ormai abbandonato da oltre 40 anni. Uno spazio che, da moltissimo tempo, versa in un gravissimo degrado che, fatalmente, ricade sul quartiere intero e su una città mai all’altezza del proprio nome.
A nulla sono valsi gli interventi (pochi) e le
promesse (tante) di questa o quella amministrazione locale né, tantomeno,
le raccolte di firme organizzate per il suo recupero dai volenterosi comitati
di quartiere che si sono succeduti negli anni e che avrebbero voluto destinarlo
a varie iniziative socio culturali.
Chi, come me, lo conosce bene, ha visto l’occupazione
del Puccini da parte di un centro sociale nel 1991, la destinazione a centro di
accoglienza nel 1995, l’occupazione da parte di alcuni nuclei rom nel 1999, lo
sgombero da parte delle forze dell’ordine che, nel 2001, vi hanno rinvenuto un
deposito di ciclomotori e motocicli rubati e varie altre vicende alle quali ha
fatto da sfondo la costante presenza di una colonia felina, mantenuta dalle
solite attivissime gattàre romane.
Io ricordo di averci visto, con i miei genitori, alcuni colossal e qualche spaghetti western che, in assenza di smartphone, sky, netflix e playstation, facevano brillare gli occhi di noi ragazzini dell’epoca. Ricordo ancora quell’atmosfera vintage che oggi avrebbe fatto da ambientazione ideale per serie come Romanzo Criminale. La luce del proiettore che tagliava il fumo delle mille sigarette accese, la moquette, le poltrone scomode, le luci sui corridoi, le toilette spartane, la cassa con i vetri incassati in legni scuri e opprimenti le pareti colorate, i biglietti strappati semplicemente da un blocchetto spillato, nessuna prenotazione, a li mejo posti, come si usava allora, e gli ultimi arrivati in prima fila, con il collo e lo sguardo alzato verso quegli eroi di celluloide che apparivano, magicamente, su quello schermo enorme e colorato, tanto diverso dalle nostre TV in bianco e nero con due soli canali.
Negli anni ‘70 il cinema chiuse per una ristrutturazione mai realizzata e l’edificio iniziò ad essere divorato dal decadimento diventando, malgrado il nome, simbolo di quel degrado che avvelena la nostra Città e che nessuna amministrazione, men che meno quella più recente, hanno saputo curare, perseguendo, addirittura, iniziative di gruppi di cittadini che desideravano operare quantomeno per bonificarne l’area da topi e zanzare.
Si tratta, purtroppo di una proprietà privata che non può essere legalmente oggetto di interventi che non siano imposti dalla Municipalità. Ma questi sono stati rarissimi negli anni, limitandosi a quando, per evidenti motivi di sicurezza, è stata imposta la rimozione dell’ingloriosa insegna e, successivamente, la potatura delle piante pericolanti nello spazio aperto annesso alla ex struttura.
Casal Bertone è un quartiere popoloso ma, purtroppo, privo di servizi e le buone iniziative recentemente poste in atto per il recupero della struttura appaiono lodevoli ma, nel contempo, inutili in assenza di un intervento deciso di una amministrazione distratta ed alle prese con tematiche di maggiore importanza, senza la capacità di risolvere, purtroppo, né le une né le altre.
Inutile evocare l’intervento del Campidoglio? Forse, ma noi giovani degli anni ’60, che sognavamo con indiani e cowboy, non ci arrendiamo e continuiamo a sognare di rivedere il Puccini restituito alla collettività. Sogno uno spazio per le arti, la cultura, la musica, la fotografia, la letteratura e, ovviamente, per il cinema. Uno luogo per il gioco e le attività espositive, per i nostri ragazzi e per i meno giovani. Un punto di contatto generazionale, di confronto, raccordo e racconto. Un luogo che sia, finalmente, degno del nome di Giacomo Puccini.
Roma 5 novembre 2018
Massimiliano Piccinno
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