Metamorfosi – Altre Storie Oltre Il Mito

Metamorfosi – Altre Storie Oltre Il Mito

Enrico Lo Verso legge Ovidio al teatro Ghione - Recensione di Alessia de Antoniis

stampa articolo Scarica pdf

Enrico Lo Verso ha fatto tappa a Roma il 26 maggio al Teatro Ghione con Metamorfosi – Altre Storie Oltre il Mito.

Mythos (μῦϑος) è parola, discorso, racconto. Prima che venisse scritto, aveva bisogno di una voce per essere raccontato. Stavolta è la voce di Enrico Lo Verso, moderno aedo, a raccontare l'eternità del mito e il suo valore universale.

Lo fa con le Metamorfosi di Ovidio, nel pieno rispetto del significato di questa parola, metà (μετα) “al di là” e morfè (μορϕή) “forma”. Andando “al di là della forma”, non porta in scena il passato ma racconta il presente: non più il mito per spiegare la realtà, ma cronaca di vicissitudini senza tempo, storie create per parlare al nostro inconscio.

Lo fa con la sua voce ricca di modulazioni: fluente, carezzevole, patetica, struggente, irosa.

Lo fa con un testo bimillenario, brillantemente adattato e diretto da Alessandra Pizzi su testi tradotti esclusivamente per lo spettacolo dal latinista Nicola Pice. Non mero esercizio di stile, ma una nuova vita soffiata in un testo che rivela tutta la sua potenza, “al di là della forma”.

La tristezza che pervade l'intero poema ovidiano, arriva  im-mediata allo spettatore, come un fiume in piena, non solo grazie alla lettura di Lo Verso, ma anche al pianoforte di Francesco Maria Mancarella, al clarinetto di Lorenzo Mancarella e alla beatbox di Filippo Scrimieri, in arte BigByps. Straordinaria la partecipazione di Sade Mangiaracina, pianista jazz di fama internazionale. Insieme creano un'eufonia in grado di tras-formare le parole in immagini e la musica in emozioni. D'effetto anche le coreografie aeree e a corpo libero di Marilena Martina.

Lo Verso riesce a comunicare, in ogni meta-morfosi, in ogni trasformazione, il dolore di quel dramma che è più doloroso della stessa morte, la sofferenza profonda di chi, pur restando in vita, viene privato della sua identità. Perché in qualunque tras-formazione, che sia in un albero, in una stella, in un animale, restano vivi i sentimenti dell'uomo, della donna, che quella tras-formazione subisce senza possibilità di appello.

L'attore palermitano fa rivivere il mondo precario e ingannevole dei sentimenti umani: amore, odio, gelosia, avidità.

La disperazione di Apollo, che poggia la mano sul tronco in cui è tras-formata Dafne e “stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo, ne bacia il legno”.

La vendetta del potere nei confronti Aracne, donna moderna, lavoratrice e mentalmente libera, che denuncia le debolezze, le nefandezze, i delitti impuniti delle divinità del tempo; che sfida la stessa Atena manifestando il suo disprezzo per la violenza dell'uomo sulla donna e l'intolleranza nei confronti dell'ipocrisia della religione. Ma gli dèi puniscono sempre chi racconta le loro malefatte e, quando sola ed umiliata si impiccherà, “n'ebbe pietà Pallade e la sorresse dicendo: Vivi, vivi, ma appesa come sei”. E la trasformò in un ragno. Ad eterna testimonianza della disunità nel mondo femminile.

La rilettura di Lo Verso riesce a farti provare compassione anche per Narciso, che non sa amare gli altri, che muore quando si riconosce come riflesso e comprende che è riflesso di nulla, perché è un uomo vuoto (“Ah, fanciullo amato invano! Addio! “– invano, in vanum ‘nel vuoto, per nulla’).

Riesce a farti indignare con Diana che si vendica della ninfa Callisto, stuprata da Giove, ma ugualmente trasformata in un'orsa: Diana, moglie di Giove, “aveva capito la cosa, ma aveva rinviato la sua dura vendetta alla giusta occasione”. Meglio vendicarsi di una donna abusata che di tuo marito...

Per tutto lo spettacolo, se ci si lascia trasportare dalla voce di Enrico Lo Verso e dai bravissimi musicisti che lo accompagnano, Proserpina, Dedalo, Icaro, diventeranno miti sopravvissuti alla storia, drammi umani dal valore universale, storie che riportano il mito nella quotidianità, perché “nulla perisce in tutto l'universo, ma cambia solo aspetto”. Tempus fugit, il mito no. 

La data romana al teatro Ghione ha evidenziato alcune criticità tecniche, ma il bello del teatro è anche questo: essere vivo, crescere e migliorarsi ogni volta.

Uno spettacolo imperdibile, che si tras-forma anche in base agli artisti che di volta in volta ospita e che merita di essere rivisto.

Alessia de Antoniis

















© Riproduzione riservata