Pochi mesi fa, il Trio McKenzie, nato in Calabria nel 2015 e composto da Frank (batteria), Luke (basso e voce) e Renato (chitarra e voce), ha fatto il suo esordio discografico con l’ep omonimo McKenzie: cinque brani (500 giorni in fiele, Alba nera, Fenice, L’ultimo, Negli occhi il gesto) per una durata di 22 minuti che rappresentano l’essenza della produzione artistica della band in questa prima fase della loro carriera.
Con la produzione artistica di Vladimir “Kayadub” Costabile, l’ep è stato registrato in casa a Falerna Marina con un studio mobile (KayaStudio Mobile), mixato al Dissonanze Studios, coprodotto da McKenzie e LaLumacaDischi con la supervisione di Black Candy Record e la distribuzione digitale Audioglobe.
È qui con noi a parlare dell’ep, che mostra evidenti influenze dei gruppi anni Novanta che il trio ama ascoltare e miscelare, Renato Failla, chitarrista del gruppo.
Innanzitutto, ti ringraziamo per averci concesso l’intervista. Suonate insieme dal 2015, e, nel gennaio 2016, è uscito il vostro primo ep. Ci potete raccontare come è nato il vostro sodalizio?
Grazie a voi! Siamo un gruppo di amici che si conoscono da oltre 20 anni, anche se, fino all’anno scorso, non avevamo mai suonato tutti e tre insieme. Io e Frank (il bassista, ndr) abbiamo suonato 9 anni con un’altra band di Roma, ma poi abbiamo deciso di tornare a “casa”, in Calabria. Il nostro gruppo nasce da qui, insomma.
Le cinque canzoni dell’ep sono accomunate da alcune tematiche che ritornano continuamente nei vostri testi: si avverte in essi il vuoto e l’incertezza provocate dalla mancanza, o dalla lontananza, dell’oggetto del vostro desiderio. È corretta questa analisi?
Sì, assolutamente. Il disco vuole rappresentare il percorso intrapreso da una persona che è stata abbandonata da un’altra all’improvviso. Quello che comunicano i nostri testi è questo non-detto, ossia tutti i discorsi che questa persona avrebbe voluto fare all’altra, ma che la sua improvvisa scomparsa ha reso impossibili. Quella che raccontiamo è la storia di una comunicazione mancata, inattuabile, a causa dell’assenza dell’interlocutore.
In Fenice, il terzo brano del vostro ep, troviamo una speranza di rinascita: Quando perdi tutto, non vuol dire niente: hai ancora addosso tutto il tuo presente. È questo il messaggio che volete inviare con la vostra musica?
In realtà, la posizione dei brani all’interno dell’ep non segue dei percorsi tematici; il criterio della collocazione è puramente stilistico e musicale. Però è vero che, una volta concluso, ci siamo accorti che inserire la Fenice lì, nel cuore dell’ep, sia stato una mossa azzeccata: la fine improvvisa di una storia, di una relazione, genera sempre sofferenza e dolore; tuttavia, bisogna avere la forza di andare avanti, di alzare la testa e guardare al futuro. Finché siamo vivi, non possiamo arrenderci allo sconforto.
L’ultima canzone dell’ep, Negli occhi il gesto, racconta una separazione, la fine di una storia che non funziona più. I vostri testi nascono da questi momenti di sconforto o di sofferenza?
Sì, nascono da questo sconforto personale, dall’impossibilità di un dialogo. Crediamo che la musica sia un veicolo straordinario per esprimere le nostre emozioni, per comunicare il disagio e la sofferenza che abbiamo dentro. Per noi la musica ha un’importantissima funzione maieutica; i nostri testi nascono proprio da questa concezione artistica.
Come descriveresti il vostro genere musicale? Il vostro è un sound duro, che viene descritto, sul vostro profilo, come “sporco di sala da registrazione”…
La nostra musica potrebbe essere descritta come punk-noise, per quanto riguarda le sonorità, meno per quanto riguarda invece i testi, che sono la componente più emotiva. Tuttavia, non c’è un genere di riferimento: l’etichetta di punk-noise non può essere totalmente esplicativa del nostro stile. Così come quella di emo gore, un filone nato in Italia da qualche anno… Forse, la definizione corretta sarebbe quella di una base punk, con testi che affrontano tematiche sicuramente meno impegnate politicamente e socialmente rispetto ai maestri del genere.
Quali sono i vostri modelli artistici e i vostri punti di riferimento?
Modelli ce ne sono davvero moltissimi. Basta ascoltare i nostri brani, ad esempio 500 giorni insieme: lì si cerca di recuperare un grunge puro, quello dei gruppi prima dei Nirvana, per intenderci.
Qual è il significato dell’immagine che avete scelto come copertina per il vostro ep, ossia una sorta di dentiera meccanica?
Diciamo che non ha un significato preciso. È stata realizzata da Pasquale De Sensi, un nostro coetaneo e concittadino. Siamo molto orgogliosi di questa collaborazione. Ci aveva proposto diverse copertine, e quella con la dentiera è stata quella che maggiormente ci ha colpiti. Solo successivamente abbiamo pensato ad un possibile significato: nell’ultima canzone, Negli occhi il gesto, abbiamo una strofa in cui parliamo di “denti bianchi”. Un richiamo perfetto all’immagine, insomma.
Ci raccontate come è avvenuta la realizzazione di questo ep? Sulla vostra pagina dite che l’avete autoprodotto a mano, copia per copia…
Sì, diciamo che è stato un lungo lavoro creativo: per realizzare un singolo cd ci abbiamo messo quasi 45 minuti! Avevamo pensato di produrre un booklet, studiato e realizzato graficamente sempre da noi, che contenesse il cd. In realtà non avevamo idee precise sulla strategia da seguire: inizialmente, abbiamo masterizzato e stampato 100 copie numerate, da dare ad amici e conoscenti per farci conoscere. Solo in seguito, è avvenuta la collaborazione con LaLumacaDischi, che ha allungato un po’ i tempi di realizzazione, ma che ci ha permesso di avere una visibilità maggiore.
Siete tutti calabresi, quanto la vostra terra è presente nella vostra musica?
È presente collateralmente. Noi veniamo dalla Calabria, una zona “affamata” di musica. Negli ultimi anni sta crescendo un movimento musicale degno di nota anche qui, ma la strada è ancora lunga, perché le opportunità e le possibilità per suonare sono davvero poche. Diciamo che la nostra terra è presente nella fame di palco che abbiamo.
Cosa ne pensate del referendum di domenica 17 sull’abolizione delle concessioni alle piattaforme di trivellazione entro le 12 miglia dalla costa. Cosa pensate di questo referendum, indetto dalle regioni?
Sicuramente è un modo per informare gli italiani e per renderli consapevoli dell’esistenza di un fenomeno che ignorano. Quello delle piattaforme di trivellazione è un discorso che va inserito in uno ancora più ampio, quello legato al tema dell’energia non rinnovabile, ancora oggi dominante in Italia. Molti non sanno, o comunque sono disinformati sui disagi che queste piattaforme creano. Al di là della politica, credo che sia importante per far conoscere un aspetto della realtà italiana a lungo rimasta nell’ombra.
Non credete che questo referendum non sia stato adeguatamente presentato, spiegato e pubblicizzato dai mass media? Ancora adesso, molti italiani non sanno di cosa realmente si occupi…
In effetti è così. È anche vero che, grazie ad internet, filtra qualche informazione in più, e ognuno di noi è libero di cercare di tenersi aggiornato e di approfondire la questione. Rimangono, però, larghe fasce di popolazione totalmente disinformate. E la valanga di programmi e di servizi che, in maniera caotica e disordinata, vengono trasmessi negli ultimi giorni, non fanno che creare ancora più confusione.
L’ep rappresenta una summa della vostra produzione di questa primo periodo insieme. Pensate di continuare verso questa direzione artistica o vi state evolvendo verso nuove soluzioni?
Bella domanda! Dopo l’ep, abbiamo realizzato nuovi pezzi, e stiamo notando una certa differenza rispetto ai brani di McKenzie. Sicuramente, a livello strutturale, la semplicità dell’ep sta lascando il posto ad un sound più complesso e maturo. Come ho detto prima, è vero che siamo amici da tanti anni, ma è solo da pochi mesi che suoniamo insieme. Il feeling tra di noi sul palco sta crescendo, e le diverse esperienze che abbiamo vissuto ci stanno portando verso qualcosa di nuovo: una composizione più matura e strutturata, pur mantenendo costante il discorso minimalista del nostro primo cd.
Riccardo Proverbio
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