Silvano Spada ha accolto nel suo teatro Fausto Bertinotti, salito sul palco accompagnato dalle note dell'Internazionale socialista per rispondere alle domande di Pino Strabioli.
Strabioli dà spazio a Bertinotti, guidandolo non come un direttore d'orchestra, ma come un primo violino, restandogli elegantemente accanto dandogli semplicemente il la. Alla fine sembrava di aver preso parte ad una serata tra amici, tra normali ricordi di un uomo che ha però fatto parte, nel bene e nel male, della storia della prima Repubblica.
Come hai incontrato la politica?
Secondo me noi usiamo il termine politica per qualcosa che gli assomiglia poco. La vera politica è quella del Novecento: un secolo grande e terribile di cui la politica è stata la protagonista.
L'ho incontrata grazie a mio padre. Lo ricordo nel 1899, curvo ad accendere una radio che gracchiava sottovoce: era Radio Londra. Quest'uomo affascinante, anarchico, socialista, mi ha introdotto nella politica, insegnandomi a leggere sull'Avanti prima di andare a scuola. Poi, sempre lui, mi portò in piazza Duomo a Milano ad un comizio di Pietro Nenni, e mi disse: “Tutte queste persone sono il progresso”.
Ma l'imprevisto che deciderà della mia vita politica, accadde nel 1960: ho vent'anni e scoppia la rivolta dei portuali a Genova, la cui voce era quella di Sandro Pertini. Manifestavamo contro il congresso del Movimento Sociale Italiano che il Governo aveva autorizzato a Genova, città medaglia d'oro per la Resistenza. Era un periodo in cui la Resistenza sembrava che fosse stata già dimenticata. Invece scoppia la scintilla: ecco l'imprevisto.
La mia grande fortuna è stata che la politica non è stata la tattica, la tensione per essere eletto, la centralità del governo, ma gli incontri con donne e uomini che personificavano la nostra idea della politica. Quello che ci sarebbe piaciuto essere, quello che avremmo voluto inventare.
Ho sempre messo gli interessi delle persone sopra gli interessi dell'organizzazione.
Ricordo quando la Fiat era una fabbrica che aveva a disposizione 110 mila tessere con informazioni di ogni persona raccolte dai carabinieri, dai parroci: 110 mila schedature. I lavoratori potevano essere licenziati solo per essere iscritti ad un sindacato. A Torino ho conosciuto persone straordinarie che hanno resistito oltre dieci anni ad un mondo che sembrava impermeabile ad ogni loro attesa.
Hai mai incontrati Agnelli?
In trattativa. Al di là del tavolo.
Hai visto il film di Gianni Amelio?
Mi è sembrato un film mancato. Un film irrisolto. L'interpretazione di Favino, straordinaria a tal punto da far tornare in vita Craxi, aggrava l'incongruenza del film, che ha l'ambizione di parlare dell'ascesa e della disfatta di un uomo politico che raggiunge il massimo del successo e che deflagra in una caduta che trascina tutto. Questo sarebbe un film. Se tu però parli di un uomo come Bettino Craxi, e lo porti sullo schermo con l'iperrealismo di Favino, poi non puoi scollegarlo dalla realtà: non si di cosa mi stai parlando. Per questo secondo me è un film che non c'è.
Palmiro Togliatti. Hai detto che lo hai stimato ma mai amato.
È un gigante della politica per cui nutro grande stima, ma che non ho amato e non amo. Nasce con Gramsci, Umberto Terracini, dialoga e discute con Lenin, Bucharin, Trotsky, coevo di Rosa Luxemburg. Vive in un mondo di giganti. Fonda un partito comunista diverso: ammettendo gli intellettuali borghesi nella direzione del partito, arriva ad avere un grado di apertura senza pari. Da qui la stima per Togliatti.
Non lo amo perché la sua grande capacità politica era accompagnata da un cinismo non necessario. A Pietro Ingrao che, all'indomani dell'invasione russa in Ungheria, era incerto sul taglio di apertura della prima pagina dell'Unità, rispose: “vedi com'è la vita? Io stamattina ho bevuto un bicchiere di vino rosso in più”. Credo che un uomo così lo si possa rispettare, ma non amare.
Giulio Aandreotti?
Non ho mai capito l'eccesso di rispetto e di considerazione che circolava in certi ambienti comunisti nei suoi confronti. Di Andreotti riesco a pensare solo male. Intelligente in cosa? Nella capacità di governo? Nelle battute terribili? La famosa frase “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia” non mi sembra un esempio di moralità pubblica. Andreotti mi sembra un navigatore abile, spregiudicato, cinico, ma senza la grandezza di Togliatti. Non regge neanche il confronto con Aldo Moro, che progettava il futuro.
Ingrao?
Disse “Volevamo la luna”. In questa frase c'è la politica come desiderio, come perseguimento di uno scopo forse irrealizzabile, ma che dà senso alla tua esistenza.
La tua teorizzazione dell'attesa?
Qualunque accadimento significativo della storia, non lo aveva previsto nessuno. Anche la Rivoluzione di ottobre è paradossale. Marx aveva teorizzato la rivoluzione in Germania o in Gran Bretagna, dove era alto lo sviluppo del capitalismo. Invece, per una beffa della storia, la rivoluzione proletaria si verifica in un Paese contadino.
Pochi mesi prima del Sessantotto, in Europa, i maggiori sociologi scrivevano che era finita la lotta di classe e che gli operai erano diventati piccolo borghesi. Anche quella fu una rivolta totalmente imprevista.
L'attesa non è mettersi in poltrona e attendere tempi migliori, è la partecipazione vigile ad un accadimento che non puoi prevedere, ma che in qualche modo tu anticipi.
Rosa Luxembourg dice che la storia della politica è fatta di vittorie e di disfatte. Chi pensa che siano praticabili solo le vittorie, si condanna alla più grave delle sconfitte, perché non c'è vittoria senza l'accumulo delle sconfitte dalle quali impari. Questa è l'attesa: una partecipazione vivida, acuta, drammatica. Per dirla con san Paolo è spes contro spem. È la speranza che hai dentro contro la speranza tranquillizzante.
Romano Prodi?
Aver fatto cadere il suo governo è una cosa di cui ancora adesso rivendico l'assoluta e vitale necessità. Penso che Prodi abbia usato il credito accumulato a sinistra per compiere un'operazione moderata, svolgendo un ruolo conservatore.
La vittoria in Emilia Romagna di domenica?
Di chi? È chiaro chi ha perso: Salvini. Questo signore, che in Italia è accreditato come un fulmine di guerra, è un grandissimo surfista. Un personaggio capace di stare sulla cresta dell'onda e addirittura propagare l'effetto dell'onda del populismo. Prendersela con quelli che il pontefice chiama “lo scarto”, lo ha fatto apparire come un uomo politico di grande livello, mentre secondo me di politica non se ne intende.
Dopo l'errore politico dell'apertura della crisi di governo per andare a nuove elezioni, ha preso un altro abbaglio: sulla base del successo ottenuto in Umbria, ha individuato l'Emilia come il luogo per portare uno scontro frontale al governo, che ha creduto fosse fragile, confondendo le lucciole umbre con le lanterne emiliane. E ha perso. Era un obiettivo fuori dalla sua portata.
Chi ha vinto? I rossi no, non ci sono. Ha vinto il tessuto sociale emiliano, di una regione che sicuramente risente della crisi nazionale ed internazionale, ma che ha una disoccupazione bassa, una sanità buona ed è la più forte realtà esportatrice d'Italia.
Cosa pensi delle Sardine?
Tutto il bene possibile perché non sono catalogabili. Un movimento così è un imprevisto. La politica nazionale chiede loro di darsi un programma e non si accorge che è un movimento, non un partito. Il suo compito è solo quello di spezzare l'onda Salviniana.
Sei comunista. In questo periodo ti sei avvicinato alla fede?
L'ho sempre avuta. Quella nel socialismo è una fede. La fede è ciò che ti consente di vedere quello che senza fede non potresti vedere. Il dialogo tra la mia fede secolare, laica, e la fede religiosa è necessario, in particolare in un simile momento, in cui l'umanità è minacciata.
Mi torna in mente il motto di san Paolo: ho combattuto la giusta battaglia, ho finito la mia corsa, ho conservato la fede.
Hai incontrato presidenti di tutto il mondo. Chi ti è rimasto più impresso?
Un potenziale capo di Stato che non aveva neanche lo Stato: il subcomandante Marcos. Bilaureato, fondatore del movimento zapatista, è una persona che è una metafora della critica al potere.
Fidel Castro
Un uomo affascinante e un personaggio ingombrante. Si sarebbe dovuto staccare dall'Unione Sovietica. Capeggia un manipolo di rivoluzionari che vincono a Cuba in modo imprevisto e che si ritrovano a parlare al mondo. Per me Fidel vale Churchill, Adenauer, De Gaulle. Era in grado di parlare con competenza di qualsiasi situazione politica del mondo. È l'uomo che ha inchiodato gli Stati Uniti d'America. Pur con i vizi del potere un fascino ce l'ha.
L'errore più grande che hai fatto nella tua vita?
Più che agli errori penso alle inadeguatezze, a quello che non sono stato capace di fare. Gli errori faccio fatica ad individuarli. Mi pesa l'inadeguatezza, il non essere all'altezza, anche come marito, come padre, come amico.
Alessia de Antoniis
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