Davide Stolfi

Davide Stolfi

Intervista con l'autore di Un bacio agli imprevisti

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Quest'anno è uscito il tuo primo libro, Un bacio agli imprevisti. Ti va di raccontarci qualcosa della trama?

Chiara, innanzitutto grazie davvero, con il cuore.
Credo molto nel tuo modo di articolare le interviste e per me è un privilegio aver atteso le domande, per poi essere trepidante nell'averle scrutate, una dopo una.
Cosa posso dirti di 'Un bacio agli imprevisti'? Dunque...
Ho immaginato Robert Downey Jr. (e, conseguentemente, il suo doppiatore ), il mondo di Hollywood attraverso un mistery humour, condito (perché no) da piccole sfumature noir e vi ho assemblato, ascoltando molta musica ambient, funky e jazz tutte le atmosfere che lo potevano rendere davvero tagliente nel suo clima narrativo, irriverente nelle situazioni e sarcastico nei dialoghi.
Una sceneggiatura, provocatoriamente mi verrebbe da dire, nei suoi stilemi tecnici.
La trama è...un gran mal di testa piacevole (spero!).
L'impressione del lettore più confermata è stata - Come ne sei uscito da tutti quegli ingranaggi, sviluppando il finale?! -


Qual è la genesi del testo? E cosa hai provato quando ha visto la luce la prima tiratura?

La genesi del testo è: lavoro notturno in una reception, sonno arretrato e lucida follia, tanto caffè e volontà di narrare qualcosa di differente, non per distinzione ma per una mia prova personale con un linguaggio più atipico e articolato ma, soprattutto, ciò che chiamiamo casualità.
Dal caso nasce, talvolta, l'assurda impressione che, quello che stai alimentando nella creazione, sia caratterizzato da attimi esilaranti.
Proprio come le situazioni non programmate.
Sulla prima tiratura, eravamo come in una sorta di 24 dicembre della pandemia, una vigilia di Natale del lockdown. Ci ho capito poco, come una gomma che rimbalza, ho preso tutto ciò che mi "veniva addosso" e lo accettavo.
Il libro è uscito il dieci marzo duemilaventi.


Il libro concede ampio spazio ai dialoghi. Cosa significa per te comunicare? E cosa pensi dello scarto presente tra emozioni e i tentativi di renderle attraverso il linguaggio?

Si, confermo che il dialogo vuole farla da padrone per il suo continuo scambio di botta e risposta surreale. Ciò che però ho pensato d'imprimere è questa concomitanza tra conversazioni e descrizioni, molto virtuose, ai limiti del visivo.
Volevo che le persone osservassero la scena, fermando la lettura, di tanto in tanto, dandole fiato con i fotogrammi.
Sogghignando? Domanda indiretta.

Un bacio agli imprevisti è permeato di mistero. Che accezione conferisci, a livello intimo, a questo termine? Cos'è un mistero?

Oddio, mistero non so se sia il termine che ben più definisce questa stramba vicenda. È, forse, ben più misterioso cosa mi abbia spinto ad approfondire questo discorso, trasformandolo in un manoscritto.
Perciò, per risponderti al significato di mistero, mi verrebbe da dire: tutto ciò a cui non sappiamo porre un recinto, la circoscrizione dell'indefinibile scoperta del nuovo, nel suo amore per il "non ancora scovato" che sappia tenersi stretto il "vissuto" non come rivelazione che si è consumata ma come ritrovamento che non perda valore.
Occhio che, con questi discorsi, ci ingarbugliamo.


Sei appassionato ed esperto di musica. Cosa vuol dire per te ascoltare un brano? Ci sono delle abitudini che coltivi in merito?

Nella mia concezione, prima è arrivato il suono, poi la musica; infine le parole. Parrebbe stupido farne una distinzione, la prima di queste tre connessioni racchiude le altre due.
Diciamo però che la musica, per me, dilata l'espressione massima a cui tu vuoi anteporre lucidità laddove, spesso, il linguaggio (la parola) non sa arrivare, esasperando la descrizione, la giustificazione.
Scrivo quasi sempre con la musica, volevo fare il regista da piccolo, il sottofondo è la mia colonna sonora.
Un'abitudine è mettere in ripetizione un dato brano finché non ho finito di terminare la scena di un mio racconto.
Come una sorta di...si può dire guru-hit o suona troppo commerciale?
Come per gli amori valgono i dettagli ripetuti anche per le creazioni artistiche vale la regola della reiterazione.


Quali sono i tuoi “numi tutelari” a livello letterario ed artistico in genere?


Eh, bella domanda.
Se avessi troncato questa richiesta a numi tutelari, ti avrei parlato di alcune situazioni, le più bizzarre o meno consone come guide all'ispirazione.
Per rispondere più adeguatamente però, mi viene da dire essendo politeista in generale, tutti quegli individui (senza distinzione di professione) che professano la religione della domanda, una condizione inusuale: viviamo in una civiltà che concede quasi esclusivamente solo risposte o condivisioni.
Condividiamo tutto, soprattutto attraverso i social e, quando qualcuno ci punta il dito o è contrario alla nostra idea (la domanda del confronto, dello spazio all'apertura) ci rintaniamo o evitiamo, ricercando altre sfere, altri luoghi, altra gente dove poter ritrovare affermazione e consenso.
Mettere in evidenza la propria ira sul social non fa parte del confronto, ovviamente.


Secondo Wallace, “«Scrittura forbita» non significa scrittura ornata in modo gratuito; significa scrittura pulita, chiara, massimamente rispettosa.” Tu hai una proprietà di linguaggio nell'esprimerti a livello orale e scritto davvero sorprendenti, uno stile chiaro ma allo stesso tempo sostenuto. Come hai sviluppato queste doti?

Io invece faccio un j'accuse nei miei confronti: stile chiaro, direi originale con contenuti decisamente non sempre nitidi ma scanditi da una buona verve. Se io abbia sviluppato queste doti, questo non so dirtelo. Mi viene da pensare (per citare il titolo di un brano del Banco...) che debba intervenire, in ognuno di noi, quella gratitudine alla piccolezza e alla vulnerabilità con cui affrontiamo le sfide, le esperienze e il loro significato, in un'accezione positiva, di plausibile fallimento.
Il mio libro è un fallimento perché è stato pensato per uno stato di grazia.
Lo stato di grazia non rappresenta una realtà permanente perciò, proprio come in una storia, la sua lettura è condita di aneddoti o passaggi più o meno entusiasmanti.
Che, divisi, non potrebbero esistere.


Ti lascio carta bianca su un tema che so che hai particolarmente a cuore: l'amore...


Io ti avevo avvisato indirettamente, Chiara.
Allora...premettendo che trovo la parola stessa qualcosa a cui non può essere affibbiata un'unica definizione (e questo fa già capire la sua immensità)... noi tutti viviamo in un tempo in cui la forma di questo immenso patrimonio viene dipinta di un nero incerto. Verrebbe da dirci: che male vi è nell'incerto che, affascinante e formativo è pure, se non ne esaltassimo però solo il suo senso più negativo?
È quello che io chiamo più comunemente la paura. La paura nell'amore o essere amati è anchesì un meccanismo di difesa e non vi é nulla di errato perché serve per controllare ogni forma di rischio; a meno che non si rinunci a vivere l'amore perché si ha paura di tutto, ovvero quella cosa che sta alla "paura della paura" e che genera una solitudine non registrata nella memoria dell'individuo; e che, talvolta, necessita di quel tipo di emarginazione per riposare.
Bisognerebbe cambiare (come dice Andreoli) gli occhiali...in questo caso, gli occhiali dell'amore: abbiamo una visione del mondo a 360 gradi che, attraverso tutti i canali d'informazione, ci fa percepire l'amore in tutte le sue forme più drastiche, anzi quasi solo angosciose, sventurate.
Bisogna però arrivarci a quella dimensione giusta in cui indossare questi occhiali d'amore.
Noi vediamo il mondo molto peggio di quello che è. Per prendere una citazione che ascoltai è "come se noi entrassimo in una stanza per la prima volta e, di quella stanza, la nostra attenzione viene catturata da cinque elementi."
Magari, per qualcun altro sono altrettanti e/o diversi...così, discorrendo, noi entreremo in quella stanza e vedremo sempre gli stessi cinque elementi, abituandoci a canalizzare una visione ad imbuto. Bisogna che noi impariamo a vedere dell'amore tutte le sue forme.
Mi viene allora, d'un tratto...anzi, mi si intrufola in bocca la parola gioia.
Bisogna passare dalla felicità alla gioia, di cui vi è una cospicua distinzione.
Noi tutti vorremmo drogarci di felicità.
La felicità ha una sua prosa individuale, è l'io.
Viene generata da uno stimolo: un regalo del partner, una sorpresa al rientro in casa...percorriamo la felicità, non consci che sia uno stimolo che si consuma.
Finito lo stimolo, la reazione di felicità scompare.
Quindi verrebbe da dire che la sensazione sia un appagamento transitorio.
Noi abbiamo bisogno della gioia in amore perché, ripetendomi con la prima parola della frase, la gioia ha la caratteristica del "noi".
Per guardare alla gioia, bisogna non ammarare il proprio sguardo su chissà che scogliera, ci sono i nipoti o i figli, il/la fidanzato/a, il parente o l'amico e questa opportunità si riversa, riflettendosi alla stessa altezza degli occhi dell'altro; la felicità, invece è egoistica e la storia ha delirato, nell'ultimo secolo, sul concetto dell'io appagato come forma di salvezza per salvare l'amore della coppia o delle relazioni. Se sto bene io, di conseguenza stanno bene gli altri ma non è così.
La gioia non cerca onorificenza perché promuove, impara a far costruire, esiste un vero e proprio vocabolario della gioia d'amore che non richiede pienezza individuale.
E, allora, per capire la gioia bisogna capire un'altra parola fondamentale che é fragilità: noi tutti siamo fragili ed é innegabile che sia deleterio mascherarlo.
"Tu hai paura ma adesso conta che puoi contare su di me" è un messaggio che suona come un consiglio da seduta e che non è un falso mito del bisogno schiavizzato ma un modo per unire due fragilità che, messe insieme, generano una forza, ecco l'amore e non il controllo per "paura che"!
Abbiamo pensato all'Io per un secolo, cercando di tirare fuori come fossero marionette del risvolto, sensazioni come l'ansia, la depressione o il panico.
Come se queste facessero parte del problema interno di quella persona; invece erano parte del noi e lo stiamo scoprendo ora che ci mettiamo a nudo nelle apocalissi d'amore.
È come in un'orchestra: c'è un gran flautista che, da sé, è egregio ma senza una sincronia con il violinista non ci sono accordi che generano una sonata come unione.
Per fare cose d'amore che generano gioia e non solo felicità, facciamo un esempio come quello del regalo: se uno fa un regalo, incorre in un giudizio che regola la sua posizione sociale, in base al costo, al denaro (non solo inteso come soldo ma come apparenza) che ne ha costituito la sua affermazione nell'altro.
Ecco, invece di questo denaro, di questo regalo, bisognerebbe iniziare a parlare di dono nell'amore.
Il dono è sempre dono di sé: invece di dare ciò che abbiamo, diamo ciò che siamo.
Dimenticarsi di dare l'importanza al concetto del 'qualcuno', è il 'nessuno' che definisce la logica dell'origine e dell'approfondimento umano verso l'ignoto dell'amore.
Quanta gente meravigliosa e generosa d'amore c'è e che magari non conta niente nel mondo del qualcuno.
Nessuno li vede eppure in loro c'è ancora onestà e voglia di devolvere.
Altro è la conservazione di alcuni tratti che, agli occhi del mondo, sono stati classificati come difetti.
La timidezza, ad esempio.
Bisogna avere cura della timidezza perché non ostenta e può essere un modo, per qualcuno o molti, di avere una visione ampia che non dev'essere giustificata nel suo silenzio.
Non aver niente da dire senza frustrazione è molto piu saggio che alzare una mano per porre una domanda forzata, fingendo di aver qualcosa da chiedere.
Anche nell'amore, la sua traduzione è che il successo non è sempre la rincorsa perenne a questo stato brillante della propria figura agli occhi altrui ma l'atto del coraggio di essere normali.
In una società rivestita di parvenza, la normalità è un abito scucito.


Filosofia o psicologia, cosa ti appassiona di più? E perchè?

Premetto che, rispondendo a questa domanda da profano quale sono (in senso che non conosco l'intero linguaggio delle due branche, se si può definirle così) mi avvalgo della facoltà di essere contraddetto o sbugiardato.
In un certo senso, mi viene da abbracciare di più la filosofia in quanto materia che rimane viva nei secoli, sicuramente circondata di diffidenza e, in tal senso, mai afferrabile.
La filosofia non concepisce che, le cose dette all'interno di un dialogo, rivestano nel significato di sé stesse valenza che dia loro un valore che si protrarrà per sempre.
Filosofia è rendersi dirimpettai di parte e controparte dove tutto e solido e rischioso, nella stessa proporzione, senza che non si rimanga "interi".
E poi quando si parla di sentimenti spiccati, la filosofia è l'unico modo per oltrepassare quelle colonne d'Ercole che i confini della scienza, della psicologia 'limitano' in risposte, il contrario della domanda continua filosofica.

Chiara Zanetti

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