Da pochi giorni, Emiliano Ottaviani, attore e cantautore romano, è tornato nei digital store con il suo nuovo singolo “Troppa Pasta” per l’etichetta musicale Cadeau Music Label.
Col nuovo brano, Ottaviani conferma la sua capacità di comunicare attraverso le metafore che ruba alla quotidianità. La melodia è gradevole, impreziosita dalla voce ben impostata. La registrazione e mastering eccellenti accompagnano un arrangiamento che possiamo definire molto buono.
Un brano pop molto orecchiabile, dalle tinte jazz che fanno l’occhiolino anche al reggae che lo rendono anche ballabile. Insomma, uno di quei brani che fa venir voglia di cantare.
Conosciamo meglio l’artista che ha saputo rendere la sua città protagonista delle sue canzoni.
Benvenuto su Unfolding Roma a Emiliano Ottaviani. Lei ha esordito con l’operetta. Com’è avvenuto il passaggio alla canzone d’autore?
Ero molto giovane. Ai tempi del liceo, ebbi la fortuna di entrare in una compagnia di operetta come attore
e cantante. Ricordo con immenso affetto Pietro Gallina, professore, regista e direttore, fondatore ed anima di questa compagnia scomparso lo scorso novembre. Posso soltanto dire che se oggi faccio questo mestiere, è solo grazie a lui.
Riguardo al cantautorato, già ai tempi del liceo iniziai a scrivere le mie prime canzoni. L’incontro tra musica e teatro è avvenuto quasi contemporaneamente; un lungo e prolifico sodalizio che non mi ha mai
abbandonato.
Lei è impegnato in diverse forme d’arte. Teatro, cantautorato, televisione, cinema, scrittura: dove
si sente più a casa?
Ognuna di queste forme d’arte ha la sua peculiarità e in ognuna c’è un pezzo di me. Tuttavia, il primo amore non si scorda mai. Il teatro è casa; una casa dove, oltre all’attore che interpreta i diversi ruoli per cui viene scritturato, spesso abita anche il cantautore. Non a caso, negli anni ho dato vita a live e spettacoli di teatro-canzone creando un repertorio dove musica e teatro si incontrano e dove il cantautore e l’attore non possono fare a meno l’uno dell’altro. Un “cantattore”, insomma, appellativo con cui molti mi identificano.
A teatro l’abbiamo apprezzata anche come autore. Negli spettacoli preferisce interpretare o
scrivere?
A teatro nasco come attore e tale resto. Quando scrivo qualcosa mi piace siano anche altri ad interpretarla.
Mi è successo spesso di interpretare un testo scritto da me, ma non mi sono mai diretto. Il regista deve
essere un occhio esterno, critico, capace di far emergere il meglio dal testo e dai suoi attori ed io ho bisogno di quest’ “occhio”, a maggior ragione quando interpreto qualcosa scritta da me.
Lei si fa “ambasciatore” di quella romanità che appartiene un po’ a tutti. Tra tutte le canzoni
romane, ce n’è una che le sarebbe piaciuto comporre?
Forse “Nina si voi dormite”. Ogni volta che la canto, non riesco a non emozionarmi.
Nel suo pezzo “colpo ar core” racconta come, in amore, è difficile scendere a compromessi
perché si perderebbe in genuinità. In particolare, mi riferisco al fatto che non bisogna fare “er paraculo che se maschera da fesso”. Secondo Lei è così anche in tutte le altre sfere della vita?
Diciamo di sì. In “Colpo ar core”, prendendo come spunto il rapporto di coppia, ho scritto questa colorita
espressione in dialetto romano proprio per estenderla ad altre sfere della vita. “Er paraculo che se maschera da fesso” è una categoria di soggetti estremamente pericolosi in ogni contesto sociale.
Allontanandoci per un momento dal suo registro più identificativo, le chiedo: com’è nata “Dolce
senza voce” e qual’ è l’esigenza dietro la sua composizione?
“Dolce senza voce” nacque dall’esigenza di tornare all’essenza di una canzone. Pianoforte e voce, nient’altro.
È un’esigenza che sento sempre molto forte, soprattutto dal punto di vista musicale. Chitarra e voce,
pianoforte e voce. Lasciare le canzoni così come nascono. Composizioni semplici, dirette, vere, mai fuori
moda. Giocare sull’interpretazione cercando di far arrivare il più possibile l’essenza delle parole. Molti grandi cantautori si sono espressi e continuano ad esprimersi così. Sono molto soddisfatto del lavoro fatto con Gerardo del Monte in questo brano.
Sicuramente continuerò a scrivere e non escludo che pubblicherò altre canzoni che prediligano questa
“essenzialità”.
Cosa ci possiamo aspettare dal nuovo singolo? Quale messaggio lascia dietro il concetto di
“Troppa pasta”?
“Troppa pasta” è una canzone che mi sono divertito molto a scrivere e moltissimo a suonare con i miei
musicisti; Gerardo Del Monte al piano, Giuseppe Di Pasqua al basso e Sergio Mazzini alla batteria.
Diversi generi in più momenti si mescolano nel brano.
Quale messaggio? La “pasta” quando è “troppa” non sfama più e non si gusta più. Spesso avanza e “resta”
nel piatto, o, se la si finisce, è solo per gola, perché si è già completamente sazi. Diventa un eccesso,
qualcosa di superfluo come tantissime cose e oggetti inutili.
Il contrasto con il titolo è netto nella copertina del singolo. Non vi è raffigurato un enorme piatto di spaghetti, stile “Un americano a Roma”, ma una sola e stilizzata pennetta al sugo.
Le faccio l’ultima domanda sulle note della sua canzone “caffè al vetro”: meglio berlo in tazzina o in
vetro?
Al vetro. Senza dubbio. Se il caffè lo prendo “al vetro”, rispetto alla tazzina, posso vedere il contenuto, ovvero il caffè, da tutte le angolazioni possibili. Come canto nel ritornello, questa scelta è ovviamente una metafora, quella di non fermarsi mai all’apparenza delle cose ma andare alla sostanza.
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Benedetta Zibordi
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