Luca Arcidiacono

Luca Arcidiacono

Nel mio lavoro tanto amore e la voglia di non ripetersi: raccontare storie è ciò che mi completa

stampa articolo Scarica pdf

Unfolding Roma incontra Luca Arcidiacono. Giovane regista di origini siciliane, Luca dopo la laurea conseguita in Cinema  a Roma., nel 2014 lavora come Casting e Assistente alla Regia per le società Cattleya, Pupkin, Ascent Film, Groenlandia e Lux Vide. Due anni più tardi è co-sceneggiatore e aiuto regista per il film “Malarazza” di Giovanni Virgiglio. Insieme al collega Luca Brunetti fonda la “Jaws Production”, una società con l'intento di produrre cortometraggi, spot e videoclip. Dopo il cortometraggio da lui diretto "La Stanza rossa", torna al lavoro con un nuovo progetto: Aggrappati a me. Una storia che racconta l'instaurarsi del rapporto tra un giovane immaturo (Ludovico Tersigni) e una  bambina con la sindrome di Down (Miriam Fauci). Due universi paralleli che si avvicinano sempre di più, passo dopo passo, camminando per le strade del quartiere  Garbatella.

Da dove nasce l'dea e la voglia di raccontare questa storia?

Come spesso accade quando si fa questo mestiere, nasce dall’istinto. Era l’Aprile 2017 e ricordo che nell'arco di una notte venne fuori l’idea, i personaggi, il punto di partenza e d’arrivo della storia. Da una parte spronato dalla presenza di mia sorella Serena, prossima a compiere 21 anni, ragazza con la sindrome di Down, dalla voglia quindi di provare a raccontarla con i suoi tanti pregi e le sue mille contraddizioni e dall'altra per la voglia sempre viva di raccontare la mia generazione, figlia di un difficile lascito socio-politico, una generazione che deve rimboccarsi le maniche e crescere prima del tempo, reinventandosi il presente verso un futuro incerto. Rappresentanti di questi due poli sono i miei protagonisti, Miriam Fauci la prima, Ludovico Tersigni (Slam - Tutto per una ragazza, Skam Italia, Tutto può succedere) il secondo.


Quali insegnamenti e/o messaggi vuole lanciare con questo lavoro?

I due protagonisti racchiudono i messaggi che ho tentato di veicolare attraverso la visione: la piccola Alice rappresenta la diversità, la complessità del vivere e affrontare i rapporti, più genericamente affrontare e superare alcuni cliché tipici per chi questa sindrome non la vive da vicino; dall'altra parte vedere la crescita e l’apertura verso ciò che non si conosce da parte di un ragazzo di borgata che pensa, come molti della sua generazione, che basti non dar fastidio a nessuno per non essere toccati in nulla, proseguire per la propria strada curandosi solo delle proprie cose. Il destino, l’imprevisto, verrà però a bussargli alla porta e dovrà essere pronto a reagire. 

A quale tipologia di pubblico consiglia vivamente la visione?

Aggrappati a Me può essere iscritto nel genere tipicamente americano del dramedy, a metà strada tra la commedia pura e brillante che tocca però anche alcuni toni del dramma. É un cortometraggio, o film breve, che può raggiungere tutti proprio per l’estrema semplicità del racconto che si costruisce attraverso una delle più tipiche regole della costruzione filmica: l’incontro-scontro tra due caratteri diversi. Non ringrazierò mai abbastanza per la sua realizzazione i produttori Riccardo Papa, Nino Chirco (che è venuto a mancare da poco) e il contributo del Nuovo Imaie.

Durante le registrazioni, una scena o un aneddoto che l'hanno colpita maggiormente?

C’è stata una scena che abbiamo girato durante il primo giorno di lavorazione in cui la piccola Miriam doveva mangiare un maritozzo con la panna, prodotto tipicamente romano, e tenendolo in mano pronto prima del ciak faceva particolarmente fatica a non divorarlo nell’attesa che io dessi “l’azione” (cosa che a volte comporta tecnicamente tempi più o meno lunghi). Per fortuna avevamo più di un maritozzo!

Cosa le ha insegnato sotto il piano umano girare questo cortometraggio?

Ho sempre amato lavorare con i bambini e mi è già capitato in alcuni miei precedenti lavori, trovo che la loro essenza pura e priva di sovrastrutture crei un contrasto positivo con gli attori professionisti che poi si trovano accanto. Con Miriam e Ludovico abbiamo fatto quattro mesi di prove per prepararci e scoprirci e poter affrontare al meglio il set e devo dire che è stato fondamentale per ragionare su ogni dettaglio della narrazione e del rapporto tra i personaggi. Spero di aver dato loro almeno tanto quanto loro hanno dato a me. Sicuramente è un lavoro che mi ha ricordato che la preparazione è fondamentale e l’essere sempre sul pezzo quando lavori con i bambini diventa il metro di giudizio per tirare le somme a fine lavorazione.

Come nasce Luca Arcidiacono come regista?

Nasce da cinefilo accanito, ho guardato e guardo di tutto perché tutto merita comunque la visione, pur nella peggiore delle ipotesi. E poi ho sempre amato scrivere. Ho attraversato anche una fase attoriale per poi scoprire che dietro e attorno agli attori c’è un mondo magico a cui capo fa la regia ed è allora che mi sono trasferito dalla Sicilia a Roma (sette anni fa) dove mi sono laureato in cinema al Dams, iniziato a fare i primi corti fino ad aprirmi una piccola casa di produzione (la Jaws Production, con il collega Luca Brunetti) e lavorando come sceneggiatore, come casting e sui set come aiuto e assistente alla regia.

Qual è il suo rapporto con Roma?

Roma la bramavo sin da piccolo e l’ho vissuta da turista tante volte prima di poter dire di viverci. Non vive un periodo sereno ed è triste vedere come in soli sette anni di permanenza qui tante brutture siano aumentate, basti pensare solo al problema rifiuti e trasporti. Poi però c’è la parte inconscia di me, e quello che per me come per chiunque venga da fuori Roma può significare, ed è qualcosa di assolutamente non oggettivo e non classificabile, una passione viscerale. Come per tutte le più grandi storie d’amore, di una persona puoi dire che la ami davvero quando riesci a convivere con i pregi ma soprattutto con i suoi difetti. Ecco, il mio rapporto con Roma è un pò così.

Un consiglio su tutti ai giovani che vogliono intraprendere il sogno di questa carriera?

Premettendo i miei 26 anni e il mio non essere nessuno per poter rispondere a questa domanda (ma chi può davvero farlo, dopotutto?), alla base di tutto c'è l’amore. E non è una banalità: più ti addentri in questo mondo, io posso dire di farne parte davvero da soli cinque anni, più le cose si complicano per mille e più motivi. Ma se c’è una cosa che è cresciuta sempre di più in me andando avanti è la convinzione che raccontare storie è ciò che mi completa. Partendo da questi presupposti fondamentali, si associa poi uno studio continuo, teorico, tecnico e pratico, la voglia instancabile di non ripetersi, andare sempre avanti e non temere l’essere ambiziosi pur con l’umiltà che rimane la prerogativa fondamentale per affrontare e sfidare il mondo, rimanendo sempre coerenti ai principi che ti hanno spinto verso questo obiettivo.

Può svelarci qualcosa dei suoi progetti futuri?

Continuo a lavorare come casting sia per cinema che per fiction tv, in parallelo sono in fase di post-produzione su “Aggrappati a Me” mentre un nuovo corto di tutt’altro genere, scritto dall’amico Michele Granata su un soggetto comune, spero prenderà presto forma. Sto scrivendo anche un documentario che spero di realizzare presto e che include due cose che amo profondamente, la Sicilia e il Cinema.

Fabio Pochesci

(Si ringrazia Francesca Sunseri - Ufficio Stampa "Aggrappati a me") 

© Riproduzione riservata