Lo abbiamo pensato o sentito dire tutti almeno una volta nella vita. L'esistenza va vissuta, ogni giorno deve sembrare l'ultimo, cogliere l'attimo per non vivere di rimpianti. Il coraggio di osare, il coraggio di buttarsi. A Marieke Vervoort, quarantenne affetta dall'età di 14 anni da una rara forma di malattia degenerativa muscolare, tutto questo è riuscito in pieno. "Ho realizzato molti sogni", ha detto poco prima che a Diest, angolo di Fiandre, Belgio, popolazione di ventimila abitanti, si completasse l'operazione di eutanasia che l'ha sollevata per sempre dalle sofferenze. Ed erano tante, nell'ultimo periodo. "Lo sport è l'unica cosa che mi fa vivere", aveva detto. E ci ha dato dentro come non mai, nonostante i suoi limiti fisici ma non mentali: campionessa mondiale nel 2006, si era cimentata nel basket, nel thriatlon, nel nuoto, nella vela. Con una carrozzina, nei paralimpici a Londra 2012 e Rio 2016, perché quel problema tra la quinta e la sesta vertebra cervicale l'aveva imprigionata per sempre.
Iniziò con qualche dolore al tallone, poi tutto si estese al resto del corpo. Teneva duro, Marieke ma negli ultimi tempi la situazione era divenuta insostenibile. Già undici anni fa aveva firmato le carte per l'eutanasia, ma lo sport l'ha fatta arrivare sin qui. Lei la vita l'amava sul serio fino a realizzare un altro di quei sogni, guidare una Lamborghini sul circuito di Zolder. Il fedele cane Zann la aiutava a spostare i vestiti e la avvertiva addirittura quando stava per arrivare un attacco epilettico. I suoi funerali si terranno in forma privata e da una scatola rossa, come suo desiderio, verranno liberate delle farfalle bianche. Non basta respirare per vivere: bisogna fare come Marieke, che alla sua breve vita ha dato davvero un senso. A noi che ci lamentiamo della quotidianità, delle più futili scomodità, dei più inutili convenienti, occorre ascoltare la sua storia per capire quanto ci si possa sentire piccoli. Marieke Vervoort se n'è andata da vera campionessa dello sport ma soprattutto della vita: ha dato tutto contro la malattia, ha sorriso sempre e anche nel giorno del suo addio si è voluta circondare di pochi intimi. Sono quelle storie che naturalmente cadono nel silenzio e nel peggiore dei casi dentro il calderone della polemica eutanasia sì, eutanasia no. Noi preferiamo raccontarla ad alta voce e magari prenderne spunto per capire quanto siamo fortunati.
Stefano Ravaglia
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